Un chilo di baccelli a 2,25 euro; una forma di pecorino (1 kg) a 16 euro; 1 kg di pane toscano a 2 euro. Totale 20,25 euro. Questo è il picnic di primavera della Cia Toscana, un classico della nostra tradizione. Ma quanto resta all’agricoltore della nostra spesa fatta in un negozio o supermercato? Vediamo: i baccelli vengono pagati all’agricoltore (in Toscana) 0,75 al kg mentre il consumatore li paga il 200% in più; i sei litri di latte che servono per fare un pecorino da 1 kg valgono all’allevatore 5,4 euro (+201%); mentre un quintale di farina di grano tenero viene pagata 14 euro; con quella farina il panificio produce 110 kg di pane per 210 euro, per una differenza del 1400%. Sono soltanto alcuni degli esempi dell’indagine di Cia Toscana fatta sui prezzi al consumo (in negozi al dettaglio e supermercati a Firenze) che testimoniano come all’agricoltore vadano solo le briciole del proprio lavoro, e che la situazione non è più sostenibile per l’agricoltura. E se a fare la spesa fosse l’agricoltore stesso? Per ri-comprarsi un pecorino da 1 kg dovrebbe vendere 18 litri di latte e per 1 kg di baccelli dovrebbe venderne il triplo.
Problema dei prezzi che sarà al centro della mobilitazione “contro lo stallo istituzionale” – organizzata da Cia, con Confagricoltura e Copagri – al via domani, 5 maggio, a Bologna che vedrà la partecipazione di 500 agricoltori toscani.
Mind the gap – «E’ una forbice insostenibile – sottolinea il presidente della Cia Toscana Luca Brunelli -, per questo continuiamo a chiedere l’esposizione del doppio prezzo in etichetta, all’origine e alla vendita. Etichettatura chiara e trasparente che permetta al consumatore di conoscere l’origine, la tracciabilità e le caratteristiche dei prodotti. Attraverso la mobilitazione che domani inizieremo in piazza a Bologna (in contemporanea con quelle di Roma e Catanzaro), chiediamo più trasparenza all’interno della filiera; di rafforzare le relazioni tra mondo agricolo e altri soggetti della filiera, ottimizzare i costi dei processi di produzione; una maggiore e più equa distribuzione della catena del valore a vantaggio di tutti, del mondo della produzione – dando dignità al lavoro dell’agricoltore – senza però andare a gravare sul costo finale per il consumatore; anzi, è possibile migliorare le economie di scala per ridurre il costo del prodotto. Inoltre, è fondamentale rafforzare forme di aggregazione delle imprese (reti, coop e consorzi); le filiere toscane – trovando nuove relazioni all’interno delle stesse -, per essere più competitivi sui mercati nazionali ed esteri, attraverso gli strumenti a disposizione, come il Piano di sviluppo rurale».
Forbice insostenibile – Non va meglio per altri prodotti. Il latte (bovino) esce dalla stalla a 0,36 euro al litro e finisce in tavola a 1,62 (+350%); i carciofi lasciano il campo a 0,12 euro cadauno e li acquistiamo a 0,47€ (+290%). Mentre un chilo di spaghetti (marche agroindustria) costa di media 1,43, ed 1 kg di pasta artigianale 4,40 €; ma il grano duro con cui si ricavano 700 grammi di semola e 670 grammi di pasta viene pagato all’agricoltore 0,22 €/kg, con un incremento del 330% sugli spaghetti e del +1.230% sulla pasta artigianale. Produrre cereali non diventa sostenibile, sottolinea la Cia Toscana: per il grano tenero, la soglia del guadagno per l’agricoltore è di 25 euro al quintale (oggi 14 €/qle.); mentre per il grano duro è di 50 euro al quintale (oggi 22 €/qle).
Zone a rischio – «Non dimentichiamo – aggiunge Brunelli – che in Toscana non abbiamo alternative alla cerealicoltura nelle aree interne e collinari; mentre se dalle zone montane o svantaggiate togliamo la zootecnia – messa a dura prova anche per la presenza dei predatori e ungulati – andremo verso l’abbandono di questi territori. Cosa fare? Bisogna incentivare la vendita diretta, che gode di ottima salute in tutta la Toscana. Ma non risolve il problema visto che incide per circa il 20% sulla vendita dell’agroalimentare toscano. E’ sempre più necessario, quindi, garantire la trasparenza dell’intera filiera agricola, e controllare ogni singolo passaggio, dal campo alla tavola».
S.O.S. olio toscano – Agricoltura toscana vuol dire olio extravergine, ma anche negli oliveti della regione c’è poco da sorridere. Un olio extravergine toscano permette un reddito all’olivicoltore se viene venduto a partire dai 12 euro al litro. Invece sullo scaffale si deve confrontare con un olio di provenienza toscana a 8,5 euro; con un olio ‘italiano’ a 6 euro e con un olio di provenienza Ue a 4,20, per finire con un olio di provenienza ‘mediterranea’ sotto i 3,5 euro al litro. «Anche in questo caso – afferma Filippo Legnaioli, presidente Cia Firenze-Prato – è di grande rilevanza una norma sull’etichettatura che non lasci spazio a interpretazioni, che comunichi al consumatore la tracciabilità e l’origine del prodotto. Temi sui quali ci battiamo da sempre, sostenendo tutte le iniziative e le azioni per la tutela e la valorizzazione della qualità dell’olio toscano certificato Dop e Igp. Solo sostenendo i sistemi di qualità e di tracciabilità del prodotto, possiamo difendere il consumatore e il reddito dei produttori».
Anche per queste ragioni – conclude Cia Toscana – scendiamo in piazza per la mobilitazione nazionale “Ei fu…siccome immobile”, per chiedere risposte urgenti su: burocrazia; ritardi dei pagamenti Agea; costi di produzione insostenibili; prezzi in caduta libera; embargo russo, vendite sottomercato; investimenti al palo; tutele vere per il Made in Italy; cementificazione del suolo; abbandono delle aree rurali.