«Negli ultimi 15 anni, da quando è avvenuto il passaggio dalla lira all’euro, l’agricoltura ha vissuto una rivoluzione di ampia portata». A riconoscerlo, in una analisi per Fieragricola di Verona, rassegna internazionale dell’agricoltura in programma dal 31 gennaio al 3 febbraio 2018, è il professor Ermanno Comegna, economista agrario esperto di Politica agricola comune.
Euro, una rivoluzione per il comparto Il professor Comegna elenca i principali cambiamenti avvenuti nel periodo intercorso fra il 2002 e il 2017, da quando cioè il primo nucleo dei Paesi dell’Eurozona, fra i quali anche l’Italia, adottarono la moneta unica. L’euro, in verità, si usava già da tre anni nei conti europei, ma fu dal 2002 che entrò nelle tasche dei cittadini italiani. «Dal 2002 a oggi per l’agricoltura molte cose sono cambiate – osserva Comegna -. Si è verificata progressivamente una maggiore interconnessione dei mercati agricoli mondiali; la Politica agricola comune nelle sue evoluzioni non ha saputo adeguarsi alle sfide di uno scenario globale mutato e fortemente scosso dalla crisi: abbiamo assistito a un’eccessiva volatilità dei listini delle materie prime e ad una progressiva convergenza dei prezzi europei con quelli internazionali».
Come è cambiata l’agricoltura Allo stesso tempo, prosegue Comegna, «si è innescato un fenomeno che ha portato a una progressiva centralità dell’agricoltura e dell’alimentare nelle strategie geopolitiche ed economiche globali: le conseguenze non sono state tutte positive, se si pensa ad esempio alle derive del land grabbing, una corsa all’accaparramento dei terreni, e a una riduzione dell’utilizzo del fattore lavoro in agricoltura, con il numero degli occupati in agricoltura che, a livello europeo, tra il 2005 ed il 2015 sono diminuiti di oltre un quarto». È, secondo Comegna, «vi sono da considerare i fenomeni della robotizzazione e digitalizzazione nel processo produttivo, da una parte essenziali per la competitività, ma allo stesso tempo sono fattori che contribuiscono all’espulsione di risorse umane dal settore».
Lo studio In tale contesto, è in atto un evidente processo di concentrazione e industrializzazione del settore primario. Lo ha evidenziato anche l’Eurostat, che nell’ottobre dello scorso anno ha pubblicato una ricerca secondo la quale nell’Unione europea sono 329mila le imprese agricole dove non esiste forza lavoro famigliare. «Sono appena il 3% del totale – ha ricordato Comegna – ma detengono il 28% dei terreni agricoli e il 23% degli animali allevati». Sono passati 15 anni dall’addio alla lira all’introduzione dell’euro. Un passaggio che è stato celebrato un po’ in sordina. Per Comegna, però, più che un figlio prematuro dell’Europa è stato in alcuni frangenti uno scudo di protezione da probabili speculazioni monetarie. «In uno scenario che ha visto il sistema agricolo europeo aumentare la propria interdipendenza, su un piano microeconomico e settoriale la presenza dell’euro per l’agricoltura italiana non ha impedito di incrementare le esportazioni del Made in Italy e, allo stesso tempo, ha agito come elemento di semplificazione per la gestione dei meccanismi della Pac a livello nazionale».
L’importanza dell’Europa Senza la moneta unica, è convinto Comegna, sarebbe stato molto diverso. «Il mantenimento della lira – sostiene – avrebbe richiesto complicate operazioni di conversione, per quantificare annualmente l’entità in moneta nazionale degli aiuti provenienti da Bruxelles, con il contraccolpo di possibili avventate operazioni di speculazione finanziaria a danno degli agricoltori, come del resto è avvenuto negli ultimi anni nel Regno Unito». A livello europeo, una Pac che si è distinta negli ultimi tempi «per le contraddizioni, la scarsa efficacia e per gli eccessivi costi amministrativi, dovrà dare risposte a un elemento che negli ultimi 15 anni si è rivelato onnipresente: la volatilità eccessiva, al limite dell’instabilità». Un tema che, è convinto l’economista agrario, impegnerà non poco gli Stati Membri nella discussione delle linee guida della Pac post 2020.