Chi non vede di buon occhio lo “straniero” che arriva in Italia dovrà ricredersi di fronte a questi numeri: le loro imprese agricole e alimentari attive nel nostro Paese creano ricchezza, versando nelle casse dello Stato oneri fiscali (6 miliardi) e previdenziali (5 miliardi) per un totale che supera gli 11 miliardi di euro. Il loro apporto, in termini di specializzazione e innovazione, li rende ormai indispensabili, all’interno del tessuto imprenditoriale, per garantire la tenuta e la crescita produttiva del Made Italy agroalimentare tradizionale e di qualità in tutto il mondo. Questi i primi dati emersi nel corso dell’VIII Conferenza economica promossa dalla Cia-Agricoltori Italiani, in corso a Bologna fino a venerdì 31 marzo. Nella prima sessione sono intervenuti, tra gli altri, il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti e il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico.
Oggi – è stato evidenziato nell’analisi della Cia – un’azienda agricola italiana su tre conta almeno un lavoratore nato altrove, in molti casi (25 mila unità) è anche l’amministratore dell’impresa. In un contesto caratterizzato da un fermo nel ricambio generazionale nei campi (sotto il 7%) e con i titolari d’azienda italiani con un età media superiore ai 60 anni, c’è il rischio concreto di un dimezzamento degli addetti nel settore, entro i prossimi 10 anni. Un pericolo che – secondo la Cia – può essere scongiurato anche con l’ingresso di stranieri in agricoltura. Un’evoluzione, già in atto, testimoniata dai dati sugli occupati nel settore che parlano di 320 mila stranieri impegnati di cui 128 mila extracomunitari, tra stabili e stagionali.
Integrazione Tantissimi gli esempi di una integrazione che porta buoni frutti, basta pensare agli indiani Sikh abili nella cura degli allevamenti e che ora acquisiscono anche la maestria casearia. Il loro contributo – è stato sottolineato nel corso della Conferenza promossa dalla Cia- è significativo anche nella produzione di Grana e Parmigiano Reggiano. I rumeni invece sono abili nelle tecniche di potatura di viti e ulivi, oltre che nella pastorizia; mentre i macedoni nei processi di vinificazione e nella manutenzione di piante e cantine. Gli inglesi e gli olandesi si concentrano nell’ambito delle produzioni innovative, tra questi molti si dedicano alla gestione di agriturismi e maneggi. Iniziano a registrarsi, nel segmento del turismo rurale, anche statunitensi e svizzeri.
In Europa Questo scenario si colloca all’interno di un’Europa che registra analoghe dinamiche. Rapide evoluzioni socio-economiche che vanno governate al meglio. Da qui la proposta della Cia-Agricoltori Italiani a cui ha dato voce il presidente nazionale, Dino Scanavino.
«E’ necessario – ha spiegato il numero uno della Cia – creare un nuovo modello di sviluppo per l’Europa dei Popoli basato su cinque pilastri». Partendo dalla scelta di:
- Alimentare un’economia competitiva e sostenibile;
- Combattere la povertà attraverso investimenti nelle aree rurali, lì dove l’inclusione degli immigrati oltre che possibile è utile e necessaria;
- Finanziare la ricerca e l’innovazione;
- Valorizzare le esperienze vincenti in agricoltura;
- Lavorare per una Ue meno burocratica, più solidale e coerente nei comportamenti dei vari Stati membri.
Il settore primario, pur tra molte difficoltà strutturali, fattura dai campi 57,6 miliardi di euro nel nostro Paese dando lavoro a circa 1,2 milioni di addetti. In Europa sono attive 14 milioni di aziende agricole che impegnano più di 30 milioni di lavoratori. L’agricoltura, in questo senso, è un asset irrinunciabile guardando al futuro del tessuto sociale ed economico dell’Italia e dell’Unione europea.