Agnello in tavola ma non solo a Pasqua. E’ necessario destagionalizzarne il consumo per rilanciare un comparto della zootecnia che soffre una crisi dovuta a cause diverse. Lo sostiene la Cia Toscana: dei 500 mila agnelli allevati e venduti in Toscana (oltre 3 mila allevamenti in Toscana con la prevalenza nelle province di Grosseto e Siena) nel corso dell’anno, il 40% avviene infatti in prossimità del periodo pasquale; un altro 30% in occasione del Natale e solo il restante 30% nel resto dell’anno. (GUARDA IL VIDEO)
Tutto l’anno L’agnello come altre carni è un piatto che può essere consumato tutto l’anno perché ha ottime caratteristiche dal punto di vista nutrizionale. «Purtroppo – spiega Enrico Rabazzi, vicepresidente Cia Toscana – abbiamo un momento con speculazioni di mercato dove gli agnelli vengono venduti a 2,5 euro al kg, un prezzo con cui non viene ripagato neanche ciò che l’agnello “consuma” alla mamma. Ovvero un agnello consuma circa 40-50 litri di latte alla pecora (la mamma) e quindi ha un costo di circa 50 euro mancato introito del latte che consuma. A fronte di un prezzo di 2,5 euro/kg un agnello viene venduto a 12-13 kg vuol dire spendere 50 euro per ricavarne 25-30. Insomma una rimessa completa».
Boicottaggi celebri Intanto sono in atto delle vere e proprie campagne mediatiche contro il consumo della carne di agnello, non solo di programmi tv, ma anche di alti rappresentanti delle istituzioni come il presidente della Camera Laura Boldrini e di personaggi politici come Silvio Berlusconi. Spot fuori luogo che non tengono conto del lavoro di migliaia di allevatori, del loro reddito e delle loro famiglie. «Gli animalisti invitano a non consumare carne di agnello per far crollare i prezzi? Facendo così – spiega Rabazzi – non facciamo il bene degli agnelli perché molti rischiano di essere soppresse al momento in cui nascono, proprio perché non c’è attività economica. Ricordiamo infatti che se vogliamo il latte la pecora deve partorire. Il messaggio che dobbiamo dare deve essere quello di consumare agnelli, consumarne di più anche per l’alto valore nutrizionale di questa carne. Non accettiamo queste campagne strumentali e improvvisate».
Nelle mense Troppo poco il periodo in cui si consuma la carne di agnello – secondo la Cia -; un settore che paga la crisi dei consumi, ma anche le abitudini alimentari del consumatore-medio che acquista agnello solo a Pasqua e a Natale, oltre alle scriteriate campagne mediatiche di matrice animalista. Ad esempio l’agnello non è presente nelle mense scolastiche (a differenza di carni bianche come pollo e tacchino), in questo senso anche un impegno da parte delle istituzioni toscane potrebbe essere utile, per il rilancio di una carne tradizionale e tipica di questo territorio e per i nostri allevatori».
I prezzi non sembrano essere remunerativi per gli allevatori toscani: 2,50 euro al kg (peso morto) è il prezzo medio, che per un agnello di 12-13 kg sono 25 euro: siamo al limite – sottolinea la Cia Toscana –, un prezzo minimo dovrebbe essere di 5 euro al kg, per far sì che l’allevamento sia remunerativo. Prezzi in continua discesa, visto che a Pasqua 2016 1 kg veniva pagato 3,20 euro/kg e nel 2013 dai 3,80 ai 4,40 €/kg. Ad aggravare la sofferenza del settore, anche le importazioni provenienti dall’Est Europa, in primis dalla Romania, da dove arriva il 35% degli agnelli che si consumano in Toscana, a prezzi stracciati che provocano un livellamento delle quotazioni di mercato.
Agnello certificato In questo senso è importante cercare il prodotto certificato, ovvero l’IGP (Indicazione Geografica Protetta) Agnello del Centro Italia, che garantisce il consumatore sull’origine e quindi sull’identificazione e rintracciabilità, «in cui ogni fase del processo produttivo è monitorata e documentata – spiega Rabazzi –; dall’allevamento, come sapere cosa ha mangiato e dove ha vissuto l’animale, fino alla vendita del prodotto»