Eletto nei giorni scorsi il nuovo presidente nazionale di Confeuro, Andrea Tiso, nominato, con il voto unanime dell’assemblea. Lo abbiamo incontrato per conoscere i programmi della Confederazione.
Presidente Tiso, a pochi giorni dalla sua elezione alla guida di Confeuro, quali sono le priorità del suo programma. Cosa c’è subito da fare?
La nostra organizzazione è cresciuta molto in questi anni, e questo credo sia avvenuto in virtù dell’ottimo lavoro che siamo riusciti a svolgere fin qui. I meriti sono soprattutto di chi ha amministrato la Confeuro fino ad oggi e della grande competenza degli uomini e delle donne dell’organizzazione che continuano a lavorare ogni giorno con dedizione e passione in tutti i territori della penisola. Per quello che mi riguarda sono sempre stato convinto che i processi vadano governati con cura e attenzione; ed è per questo che come priorità mi do quella di gestire questa fase di crescita in modo da massimizzarne i risultati e di incidere sempre di più nella battaglia per il rispetto dei diritti degli agricoltori delle piccole e medie imprese agricole.
Qual è lo stato di salute dell’agricoltura italiana?
La situazione è oggettivamente grave. E lo è ancor di più perché si cerca di nasconderla sotto i numeri dell’export o di manifestazioni come l’Expo di Milano. La verità invece è che i 13 milioni di agricoltori degli anni 60’ sono divenuti poche decine di migliaia di unità e che il primario è stato totalmente svenduto agli interessi delle multinazionali dell’agroindustria. Quel che serve è un piano nazionale agricolo che abbracci i diversi campi della filiera e non misure tampone utili solo ad arginare le fasi emergenziali.
Quali sono i problemi principali del settore?
Un primo gravoso problema del primario è sicuramente la burocrazia. Molte regioni italiane non riescono ad impegnare i fondi del PSR perle lungaggini delle procedure. E’ paradossale. Ma oltre a questo i problemi sono tanti. Potrei dirle che tra i principali ci sono quelli relativi al reddito agricolo, alla necessità di favorire un ricambio generazionale, al mancato accesso al credito o ai tanti problemi della filiera. Ma in realtà quello che credo è che ci sia prima di tutto un problema di visione nel mondo. Il progresso è stato scambiato per colate di cemento e cibo industrializzato, ma in realtà è fatto di alimenti sani e genuini, di prati verdi e di aria pulita. E tutto questo ha un nome ben specifico: si chiama agricoltura.
Un giudizio sull’operato di questo Governo e sul ministro Martina?
Non voglio lanciare la croce su questo governo, sarebbe ingiusto visto che ha fatto poco proprio come quelli che lo hanno preceduto e lo stesso discorso vale per il ministro Martina. La verità è che serve un cambio di passo ed una maggiore capacità di ascolto. E’ ora di dire basta a quelle riunioni al chiuso nelle quali le istituzioni incontrano sempre e solo le solite sigle della rappresentanza “tradizionale”. E’ giunto il momento che l’esecutivo presti maggiore ascolto alle nuove realtà del primario e che ponga fine alla lottizzazione del settore. C’è solo un modo per uscire dalla crisi del settore agricolo, farlo insieme.
Recentemente avete proposto un Albo per le migliori produzioni agricole regionali. Di che cosa si tratta e quale sviluppo dovrebbe avere?
La nostra è un’idea semplice e facilmente attuabile. Spesso si utilizza in modo improprio la definizione “Made in Italy” e non ci si rende conto che il mercato nazionale e internazionale apprezzano moltissime peculiarità locali del Bel Paese. L’albo delle migliori produzioni agricole regionali serve a valorizzare tutti questi prodotti, la grande biodiversità italiana e la grande sapienza agricola che c’è dietro ogni coltura. La nostra idea e quindi quella di realizzare un albo volto ad indicare i processi più meritevoli e più rappresentativi della grande tradizione enogastronomica del Paese.
Ma l’agricoltura è principalmente materia europea. E’ soddisfatto di quanto si sta facendo a Bruxelles?
L’agricoltura è sicuramente un pezzo importante della Ue visto che incide sul bilancio comunitario per oltre il 40%, ma questo ovviamente non significa che agli Stati del vecchio continente non spetti nessun compito. L’idea stessa dell’Unione Europea è oggi fortemente in crisi e l’agricoltura ne paga dazio. Le faccio un esempio. Non ha alcun senso che la Ue decida di affidare ai singoli Stati la decisione sul coltivare o meno gli Ogm. Questo è un tema troppo importante e delicato perché venga lasciato alla piena discrezionalità dei governi. Quanto fatto per l’agricoltura dall’Unione Europea è del tutto insufficiente, e spesso anche confusionario. Non si può essere contenti di Bruxelles visto che ancora oggi, dato il modo in cui è stata redatta la Pac, non ha compreso la necessità di puntare sulla qualità delle produzioni agricole invece che sulle dimensioni dei terreni coltivabili. C’è poi una cosa che va detta e che nessuno credo abbia il coraggio di ammettere: nei contenuti della Pac ci sono accordi politici che permettono la distribuzione di risorse comunitarie per fini che non hanno nulla a che vedere con l’agricoltura.
Per la Pac 2020 quale è la ricetta di Confeuro, quali sono le priorità per l’agricoltura italiana?
La Pac 2020 rappresenta un appuntamento importante e può cambiare molte cose per il primario. Ma c’è bisogno che venga incentrata sulle Pmi, e non, come è invece l’attuale, sulle grandi imprese dell’agroindustria. La politica agricola comunitaria ha il compito di distinguere chi è realmente un agricoltore da chi non lo è. Non si può equiparare un’azienda che si occupa di distribuzione e di commercializzazione ad una che lavora incessantemente per il soddisfacimento dei bisogni primari delle persone. La Pac 2020 dovrà avere al centro le Pmi del primario e sostenere con forza i progetti che abbracciano quell’idea di progresso che, voglio ribadirlo ancora una volta, non è fatto di cemento e di cibi industrializzati, ma di prati verdi e cibo genuino.