«Il caldo ha sostenuto i consumi, i raccolti sono in calo in Europa mentre noi assicuriamo ancora produzioni di qualità, eppure la frutta estiva – pesche e nettarine in primis, ma anche meloni e cocomeri – non viene pagata adeguatamente, anzi i prezzi sono irrisori e al di sotto dei costi produttivi».
La denuncia arriva da Antonio Dosi, presidente di Cia – Agricoltori Italiani dell’Emilia Romagna, che rileva un mercato depresso per le eccellenze produttive dell’Emilia Romagna in una annata che presenta tutte le condizioni per remunerare il raccolto. «Già ad inizio campagna abbiamo assistito ad un crollo dei prezzi di albicocche e pesche, solo in parte spiegabile con una abbondante offerta sui mercati di prodotti esteri e nazionali e a causa del caldo anticipato e prolungato che ha portato la frutta a maturare contemporaneamente in tanti areali produttivi europei. Ora, però – sottolinea Dosi – abbiamo superato da tempo quella fase, ma siamo al punto di partenza. È chiaro che ci sono manovre speculative che vanno oltre queste considerazioni. Inoltre non si può nemmeno attribuire solo all’embargo russo e a competitori come la Turchia, che produce a costi inferiori dei nostri, un mercato con quotazioni che si avvicinano ai minimi storici».
La proposta Da anni, prosegue Dosi, la Cia suggerisce l’adozione di strumenti che consentirebbero di evitare o mitigare queste situazioni ricorrenti di crisi. «Innanzitutto serve la programmazione delle produzioni frutticole – precisa – oltre alla condivisione della programmazione e delle strategie commerciali, l’attivazione, perlomeno a livello sperimentale, dei fondi mutualistici o delle polizze ricavi. L’organismo interprofessionale, poi, avrebbe tutte le caratteristiche e le potenzialità per governare le regole produttive, commerciali e di immissione al mercato se solo tutti i soggetti che ne fanno parte vi partecipassero e operassero per gli scopi fondanti, e non per questione di facciata o perché non possono starne fuori. Purtroppo non si è mai trovata comunità d’intenti per motivi comprensibili dal punto di vista degli interessi economici di qualche parte – conclude il presidente della Cia – inconcepibili se si vuol veramente costruire una filiera forte, sicura, di qualità: su questi temi, da una politica attenta, ci si aspetterebbe maggior impegno».