Secondo stime Nomisma Agrifood Monitor, quest’anno l’export agroalimentare italiano oltrepasserà i 40 miliardi di euro, grazie ad una crescita superiore al 6% rispetto all’anno precedente. A spingere il settore verso un nuovo record nelle vendite oltre frontiera sono soprattutto le esportazioni dei prodotti simbolo del Made in Italy alimentare, vale a dire vino, salumi e formaggi che dovrebbero chiudere l’anno con un aumento nell’export compreso tra il 7 e il 9%.
Mercati Guardando invece ai mercati di destinazione sono soprattutto i paesi extra-Ue (seppure rappresentino ancora meno del 35% dell’export totale) ad evidenziare i tassi di crescita più elevati. Tra questi Russia e Cina, con variazioni negli acquisti di prodotti agroalimentari italiani a doppia cifra (oltre il 20%), benché il loro “peso” continui ad essere marginale sul totale dell’export (meno del 2%). In linea invece con la media di settore le esportazioni verso Nord America e paesi Ue (dati gennaio-luglio 2017).
Nomisma «L’aumento dell’export unito ad un consolidamento della ripresa dei consumi alimentari sul mercato nazionale (+1,1% le vendite alimentari nei primi 9 mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2016) prefigurano – ha detto Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma – un 2017 all’insegna della crescita economica per le imprese della filiera agroalimentare».
Cresce il valore aggiunto Una filiera che dalla produzione agricola alla distribuzione al dettaglio e ristorazione vale oltre 130 miliardi di euro di valore aggiunto (pari al 9% del Pil italiano), genera lavoro per oltre 3,2 milioni di occupati (il 13% del totale) e coinvolge 1,3 milioni di imprese (il 25% delle aziende attive iscritte nel Registro Imprese delle Camere di Commercio). Ma la rilevanza strategica della filiera agroalimentare va oltre i valori assoluti e si esprime nella sua capacità di tenuta e salvaguardia socioeconomica anche in tempo di crisi. «Dallo scoppio della recessione globale (2008) ad oggi – continua Pantini – il valore aggiunto della filiera agroalimentare italiana è cresciuto del 16%, contro un calo di oltre l’1% registrato dal settore manifatturiero e un recupero del 2% del totale economia, avvenuto in maniera significativa solamente a partire dal 2015».
Piccole imprese Non male per un settore fortemente frammentato dove le imprese alimentari con più di 50 addetti (quelle medio-grandi) rappresentano appena il 2% del totale, quando in altri paesi competitor – come la Germania – questa incidenza arriva al 10%. E questo spiega anche perché la propensione all’export della nostra industria alimentare sia pari al 23% contro il 33% della Germania, o visto da un’altra angolatura, perché le nostre esportazioni per quanto in crescita siano ancora molto inferiori a quelle francesi (59 miliardi di euro) o tedesche (73 miliardi).
Produttivo Nord La presenza di imprese più dimensionate unita a reti infrastrutturali più sviluppate nonché a produzioni alimentari maggiormente “market oriented” spiegano anche perché oltre il 60% dell’export italiano faccia riferimento ad appena 4 regioni: Veneto, Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte, mentre al contrario tutto il Sud del Paese incida per meno del 20%. Un differenziale che rischia di allargarsi ulteriormente anche in quest’anno di trend favorevole ai nostri prodotti, dato che nel primo semestre 2017 mentre le regioni del Nord Italia hanno messo a segno una crescita di oltre il 7% nelle vendite oltre frontiera, quelle del Mezzogiorno non sono riuscite a raggiungere il +2%.