Verrebbe da dire uomini d’altri tempi, come ormai in giro non ce ne sono più. Come altro si può definire una figura professionale come quella di Romolo Caroti, imprenditore agricolo di Montepulciano, da sempre associato alla Cia di Siena. Si, perché Romolo è conosciuto e stimato non solo nel suo comprensorio natale, ma anche in molte province toscane e umbre, dove ha lavorato, o meglio ha messo in atto interventi altamente professionali per molti decenni fin da quando era praticamente ragazzo.
Ragazzo del 1933 E di tempo ne è passato perché Romolo è un ragazzo del ’33. Ma cosa fa di straordinario, qual è il suo mestiere? Romolo è uno degli ultimi “innestini” professionali (se non l’ultimo) della provincia di Siena, forse uno dei pochi rimasti in Toscana. E qual è l’attività di un innestino? A cosa serve? La domanda viene spontanea, perché, in campagna ormai questa operazione è diventata molto rara, viene fatta solo saltuariamente, semmai talvolta a livello hobbistico e raramente i nostri giovani imprenditori hanno visto fare o hanno fatto loro stessi un innesto. Oggi gli innesti si fanno quasi esclusivamente a livello automatizzato in vivaio, per produrre barbatelle di viti o piantine di olivo o fruttiferi da impiantare. Una volta non era così. Era consuetudine intervenire su interi impianti di vite o d’olivo già realizzati per sostituire alcune varietà o cloni che producevano poco o non erano più rispondenti alle necessità aziendali, facendo innesti in pieno campo su interi appezzamenti già realizzati.
Se volevamo “cambiare” il tipo di uva prodotta dal vigneto si tagliavano le viti da sostituire, mantenendo così il “piede selvatico”, ovvero il “portainnesto” e si introducevano le marze di vitigni diversi con cui si desiderava iniziare a produrre. E questo valeva anche per le altre piante domestiche, olivo, castagno e frutti in genere. Era e rimane tutt’ora, nel caso qualcuno si voglia cimentare in tali operazioni, un lavoro difficile, che richiede una applicazione perfetta della corretta tecnica (altrimenti gli innesti “falliscono” ovvero disseccano, dando origine a vegetazione selvatica o al limite riscoppia la varietà preesistente). Occorre inoltre possedere una conoscenza completa riguardo alle varietà e ai cloni da innestare, alle compatibilità tra i portainnesti e le “marze”, ai tempi di prelievo e alle modalità di conservazione delle marze, ai tempi e alle diverse modalità di intervento con le tecniche di innesto più adatte per ogni tipologia di specie vegetale. Per tutto questo il mestiere richiede tanta esperienza che è la sola cosa che può garantire, ragionevolmente, la riuscita del lavoro. Inoltre è necessaria anche una particolare dedizione e passione (ma forse il termine giusto è vocazione) per svolgere questi lavori molto duri e faticosi.
L’attività si svolge sempre all’aperto, spesso sotto il sole cocente, talvolta per svolgere meglio alcune operazioni si è costretti ad assumere posizioni scomodissime, come lavorare in ginocchio. Oggi si chiamerebbe lavoro “usurante”.
Una volta era solo un lavoro stagionale molto richiesto, che dava particolare soddisfazione quando il lavoro commissionato dalle aziende agricole veniva portato a termine nel migliore dei modi e si ottenevano i risultati aspettati.
L’innestino era considerato “l’artefice” del nuovo vigneto, oliveto o frutteto su cui era intervenuto. In alternativa c’era il fallimento dell’operazione, con tempo e denari buttati al vento, oltre che una drastica perdita della reputazione. La responsabilità non era poca. E solo in pochi, i migliori, che erano anche i più richiesti, riuscivano quasi sempre nell’intento. Oggi le aziende agricole impiegano piantine, materiale di propagazione già pronto e innestato con tutte la varietà ed i cloni delle piante che si vogliono mettere a dimora. Se c’è da sostituire una varietà di un frutto, quasi sempre si estirpa tutto l’impianto e se ne reimpianta uno nuovo con il clone voluto. Si fa prima, ma ormai si fa così perché non ci sarebbero nemmeno alternative praticabili. È la nuova agricoltura, con cui si cerca di meccanizzare tutto, non conviene più effettuare interventi colturali di tipo manuale.
L’incontro Ho conosciuto Romolo, per caso, in una azienda agricola associata alla Cia di Siena che lo ha chiamato per fare una operazione di tipo “dimostrativo”, o forse oserei dire con finalità comparative su due o tre piante di olivo adulte, ma poco produttive, con olive piccole che davano poca resa in olio.
Occorreva valutare la convenienza tra l’effettuazione degli innesti su tutte le piante dell’appezzamento di questa tipologia di olivi o procedere alla loro estirpazione ed al nuovo reimpianto con le varietà preferite. Personalmente, oltre alla curiosità di vedere all’opera un vero esperto del settore,c’era anche l’interesse a comparare le tecniche più recenti con quelle tradizionali e collaudate usanze di una volta.
L’evento si è svolto nell’azienda Franco Petri a Pienza, nell’ultimo periodo idoneo per realizzare gli innesti a corona sull’olivo che devono essere realizzati da aprile ai primi di maggio, quando l’olivo è in vegetazione, come suol dirsi in “succhio”. Possibilmente dovrebbero effettuarsi a luna calante. All’inizio della mattina sono state prelevatele marze da innestare in un oliveto adiacente poi Romolo ha iniziato a realizzare gli innesti, attentamente osservato e coadiuvato dal titolare dell’azienda e dal sottoscritto.
Gli strumenti Per effettuare gli innesti occorre tanta tecnica, ma relativamente poca strumentazione: un segaccio per recidere la pianta da innestare, un contenitore con dell’acqua (un comune secchio di plastica) per tenere a bagno i germogli da innestare (marze) affinché non si asciughino, il mastice per coprire le superfici delle parti innestate, la rafia (fibra vegetale) per fare le legature, della carta resistente e impermeabile per creare una sorta di contenitore che si riempirà con della comune sabbia che dovrà tenere umidi gli innesti, alcune lame ed un martello per spaccare il legno da innestare a “spacco”. Lo strumento più importante rimane però il coltello da innesto che deve essere sempre affilatissimo e con cui devono essere fatti dei tagli netti per preparare correttamente le marze. Attualmente il segaccio spesso viene sostituito da una piccola motosega da “pota”, la rafia vegetale da un tubicino elastico di plastica e talvolta non viene utilizzato il “cartoccio” di carta con la sabbia, sostituito in toto dal mastice. Quello che non deve mancare mai è l’esperienza dell’operatore.
Nella mattinata il nostro Romolo, nonostante l’età e gli acciacchi che ultimamente lo affliggono, ha portato a termine quattro o cinque innesti “a corona” e un paio di innesti “a occhio” ovvero “a gemma” per illustrare anche la tecnica alternativa con cui è possibile procedere, mentre ha spiegato a chi lo stava a sentire attentamente la modalità di esecuzione degli innesti a spacco o a doppio spacco (all’inglese) che sono le altre possibilità con cui possono essere realizzati questi interventi sull’olivo. La mattinata si conclusa nel migliore dei modi, con Romolo forse contento di aver contribuito a formare due provetti apprendisti, per me e Franco Petri soddisfatti per aver avuto la possibilità di avere come maestro una persona squisita e capace da cui poter apprendere, per quanto possibile, una competenza pratica impossibile da acquisire dai libri.