La filiera agrumicola siciliana da anni solleva il problema e si batte per la valorizzazione delle produzioni agrumicole trasformate, sostenendo l’importanza di immettere sul mercato un prodotto con la più alta percentuale di agrumi possibile. Per questo, già nel 2014, in sede di audizione in Commissione Agricoltura del Senato, tutte le categorie agricole siciliane avevano espresso parere favorevole sull’aumento sino al 20% della percentuale di succo nelle aranciate e sono anni che, anche attraverso tavoli tecnici in Assessorato regionale Agricoltura, si chiedono interventi sia a livello regionale sia nazionale.
Pertanto, la filiera agrumicola siciliana ha certamente accolto con soddisfazione la decisione di aumentare la percentuale di succo nelle bibite dal 12% al 20%. Però è il caso di fare chiarezza. Se non si assicura la tracciabilità del prodotto con una normativa ben chiara, è praticamente impossibile garantire l’impiego di succo proveniente dalle produzioni italiane e siciliane e sta solo alla sensibilità etica delle aziende produttrici di bibite decidere se utilizzare succo italiano o approvvigionarsi all’estero.
La normativa, infatti, è entrata in vigore solo in l’Italia e tale provvedimento non può considerarsi assolutamente risolutivo. Non lo è per la tutela dei consumatori, non lo è per la valorizzazione dell’agrumicoltura italiana e siciliana in particolare, essendo la Sicilia la regione più agrumetata d’Italia (circa il 58% della produzione nazionale).
Senza ulteriori interventi, dunque, la normativa entrata in vigore appare come una vittoria di Pirro, sulla quale alcuni fanno solo un’operazione di marketing dimenticando di chiarire al consumatore e alla filiera agrumicola che il percorso è monco e, pertanto, c’è poco di cui vantarsi. Un’operazione che la filiera agrumicola siciliana non può permettersi.
“L’aumento della percentuale minima di succo nelle aranciate prodotte e vendute in Italia, senza però indicare la provenienza delle arance, rischia di diventare una vittoria dei furbi. Una novità che in realtà va a scapito dei produttori agrumicoli italiani e siciliani in particolare, che da anni si battono non solo per il sacrosanto innalzamento della percentuale di succo di vere arance nelle bevande, ma anche perché nell’etichetta ne sia inequivocabilmente indicata la provenienza -afferma il coordinamento di Agrinsieme Sicilia, costituita da Cia, Confagricoltura, Copagri e Alleanza delle cooperative agroalimentari-. La norma recentemente approvata è solo un piccolo passo verso il riconoscimento delle ragioni del comparto agrumicolo. Se non c’è certezza sulla provenienza delle arance destinate alla trasformazione in bevande, nulla vieta alle industrie di comprare a prezzi bassi arance estere o addirittura succhi esteri per raggiungere la percentuale del 20% beffando così produttori agrumicoli e consumatori: con i primi che non avranno nessun beneficio commerciale dall’applicazione della nuova norma e con i secondi che consumeranno bevande prodotte in Italia con arance estere. Inoltre, l’applicazione confinata all’Italia della nuova norma può portare rapidamente le industrie di trasformazione a spostare fuori dai nostri confini le proprie aziende. La vera svolta sarebbe arrivare al 100% di succo di arance italiane nelle bevande -aggiunge Agrinsieme Siclilia- e le nostre organizzazioni si batteranno affinché si possa raggiungere presto questo obiettivo”.
“Per valorizzare la produzione agrumicola siciliana – sottolinea il Distretto Agrumi di Sicilia al quale aderiscono i Consorzi di tutela delle produzioni Dop, Igp e Bio, oltre che Organizzazioni di Produttori, aziende singole di produzione, commercio e trasformazione della logistica e dei servizi- è certamente necessario ottenere una normativa chiara sulla tracciabilità, ma anche lavorare per chiudere un accordo di filiera condiviso fra produttori e industriali, dando vita a un monitoraggio serio e preciso della produzione che può essere conferita per la realizzazione di succo, non solo dalle produzioni d’eccellenza (Dop, Igp e Bio) ma anche da quelle non certificate comunque prodotte in Sicilia. Solo così potremmo garantire ai trasformatori e dunque ai produttori di bibite i quantitativi necessari di succo italiano e siciliano Congiuntamente, serve anche una grande campagna di comunicazione istituzionale verso i consumatori che valorizzi il prodotto agrumicolo siciliano ed evidenzi le proprietà benefiche dei nostri agrumi per la salute”.