Surrogato o sostituto, in tedesco ersatz, parole che agli anziani ricordano le sanzioni comminate all’Italia dalla Società delle Nazioni e la guerra. In questi tristi periodi gli italiani si vestono con surrogati della lana, la fibra artificiale rayon o un filato ricavato dal latte (lanital), mentre le scarpe sono di cuoio artificiale (cuoital). Nella alimentazione vi è una prolificazione di surrogati autarchici destinati alla povera gente e spesso scadenti: al posto del caffè si bevono infusi di orzo mondo o vestito, ghianda o cicoria tostata. Al posto della carne compaiono prodotti incredibili e improbabili come il Condit, una specie di ragù, e la Vegetina miscela più o meno sospetta di vegetali. L’Ufficio propaganda del PNF (Partito Nazionale Fascista) pubblica l’opuscolo Sapersi Nutrire ricco di consigli alimentari restrittivi e di norme dietetiche, con illustrazioni e motti sulla infelicità e i malanni provocati da un eccesso di cibo proclamando che “ne uccide più la gola che la spada” e che “gli obesi sono infelici”, non dimenticando di proclamare i malanni causati dai grassi e sopratutto dalle carni. Sui giornali compaiono consigli per fare maionese senza uova o altri piatti “senza” questo o quell’alimento scarso, razionato o introvabile e per le sue ricette risparmiose diviene celebre Petronilla, nome di scrittura sulla Domenica del Corriere di Amalia Foggia Moretti, una delle prime donne laureate in medicina. Un triste periodo, quello dei surrogati, perduto? Tutt’altro. Basta dare uno sguardo agli scaffali degli alimentari e ai locali di ristorazione cosiddetta alternativa per bisogna rendersi conto che oggi la questione dei surrogati dilaga con nuove e diverse conseguenze. Un primo effetto è la nascita e la diffusione di cuochi e ristoranti vegetariani e vegani con buone se non elevate conoscenze, ottenute anche da seguendo i suggerimenti di dietisti specializzati, e che elaborano piatti di alta qualità offrendo menù equilibrati a prezzi spesso elevati destinati a chi ha la possibilità di frequentarli. Considerando anche si tratta di frequentazioni di poche persone e di esperienze occasionali non vi sono sostanziali problemi nutrizionali. Diversa è la situazione della maggior parte, se non della quasi totalità dei vegetariani e vegani che con poca esperienza devono arrangiarsi con cereali, leguminose, verdure, grassi vegetali e cibi anche esotici come il tofu o le alghe, in una cucina che richiede conoscenze che non tutti hanno e soprattutto che richiede tempo. Di questo se ne è resa conto e ne ha approfittato l’industria alimentare che vedendo un nuovo e lucroso affare si è specializzata nella produzione e distribuzione di alimenti per vegetariani e vegani. Un fatto solo apparentemente strano, e che ricalca quello che era avvenuto nell’infausto periodo dell’autarchia fascista e della guerra, è che molti degli alimenti destinati ai vegetariani e vegani sono preparati e venduti con denominazioni che richiamano i detestati alimenti d’origine animale. Si parla così di latte di soia, latte di mandorle, burro di arachidi, panna vegetale, formaggio di tofu o vegetale, senza parlare degli hamburger, straccetti, bistecche, wurstel, mortadelle, ragù, spezzatini e altri prodotti alimentari senza carne costruiti con vegetali. In tutti questi casi le etichette riportano valori analitici indubbiamente reali, ma non rivelano al comune consumatore le differenze qualitative nutrizionali con l’alimento che è imitato. Alle denominazioni falsamente indicative di questi surrogati quasi sempre si associa la loro quasi costante presentazione nei reparti e scafali di vendita accanto ai prodotti originari. Per esempio è necessario che il consumatore sia molto attento nel leggere e interpretare le etichette per comprendere se in una bomboletta di panna vi è un derivato del latte o della soia. Un importante elemento negativo è che nella preparazione della maggior parte dei surrogati, che devono imitare quelli originari, non bastano i trattamenti fisici e quindi si ricorre a additivi, soprattutto leganti e addensanti che hanno la funzione tecnologica di mantenere la struttura dei prodotti. Solo con l’aggiunta di additivi aromatizzanti, coloranti e appetitizzanti è possibile avere surrogati della carne e suoi derivati, con caratteristiche organolettiche simili ai prodotti imitati. Una caratteristica quasi costante, molto evidente per alcune preparazioni come gli hamburger, è il prezzo di vendita dei surrogati, che permette all’industria alimentare una non trascurabile fonte di guadagni e giustifica il suo interesse. Apparentemente i surrogati alimentari sono destinati a un gruppo relativamente ristretto, anche se in aumento di consumatori, ma l’industria ha un forte interesse consumistico a espanderne l’uso e da qui la preparazione di surrogati appetibili e l’uso di denominazioni evocative. Per questo gli attuali surrogati alimentari industrializzati, dove prevalgono gli interessi commerciali, con la spinta a una vendita a sempre più larghe fasce di consumatori, spesso poco informati, hanno denominazioni falsamente evocative, anche pericolose. Un loro uso diffuso e non consapevole possono infatti influire sulle scelte e stili alimentari e portare a nutrizioni squilibrate, soprattutto in categorie deboli come quelle di anziani e bambini, come dimostrano anche recenti casi segnalati dalla cronaca giornalistica.
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