di Giovanni Ballarini – Accademia dei Georgofili
“Non c’è più la carne di una volta” è un’affermazione che spesso si sente dire nelle discussioni che si fanno a tavola, con toni che per lo più sottolineano qualità negative e soprattutto la durezza delle carni che al tempo stesso si vogliono magre e tenere. Un’accoppiata possibile? Non si dimentichi che nel passato il biblico profeta Isaia (740 a. C. circa) dice “Il Signore degli eserciti preparerà per tutti i popoli, su questo monte, un convito di carni grasse, un convito di vini forti, di carni succulente, di vini raffinati” e che gli antichi romani hanno il proverbio Tria mala macra / Ansere, mulier capra (Tre magrezze sono cattive, dell’oca, della donna e della capra, e sempre si tratta di carne, da mangiare negli animali e metaforica nella donna).
Nelle discussioni sulla carne non di rado si scorda che la qualità deriva dai metodi di produzione che partendo dall’allevamento degli animali arriva al banco della macelleria o del supermercato, ma anche dall’uso che se ne fa in cucina e soprattutto che il gusto del consumatore cambia nel tempo e se nel passato la carne doveva essere grassa mentre oggi si richiedono carni magre. In modo analogo spesso non si pensa che la qualità della carne è la risultanza di molti elementi e che in ogni specie la genetica interviene nella costituzione muscolare ed in particolare nel rapporto tra fibre chiare e scure, quantità e qualità connettivo, grasso intramuscolare nella sua quantità e qualità. Altrettanto importanti per la qualità della carne sono il sistema d’allevamento degli animali (brado, semibrado e stabulato), i modelli alimentari seguiti (tipo e qualità dei foraggi, loro integrazioni ecc.), l’età e peso di macellazione (carni giovani o mature), la durata del trasporto e le modalità di abbattimento degli animali. Per molti aspetti determinanti sono il sistema e la durata di frollatura della carne e i tipi di cottura (temperatura, tempi ecc.), tutti elementi che si riflettono sulla tenerezza della carne, la qualità più ricercata dal consumatore.
Fattori di tenerezza della carne sono la tipologia fibre muscolari, il connettivo (genetica – età), il grasso (genetica – età – alimentazione), il glicogeno (benessere), il corredo enzimatico (genetica – utilizzazione), l’intervento di ioni calcio e la pressione osmotica, i processi ossidativi, il corredo enzimatico muscolare in catepsine, calpaine, proteasoma ed altre endopeptidasi. Determinanti per la tenerezza della carne sono il grasso intramuscolare e il contenuto di collagene. Quest’ultimo costituisce la parte meno solubile e la sua quantità e resistenza alla cottura aumentano con l’età dell’animale divenendo maggiori nei soggetti di sesso maschile, fatta eccezione per gli animali castrati. Il grasso intramuscolare contribuisce alla tenerezza della carne frammentando la continuità del muscolo e per questo le carni magre tendono a essere più dure di quelle grasse.
La tenerezza della carne si stima che per buona parte derivi dalla frollatura, l’insieme di processi enzimatici e biochimici che si svolgono nel muscolo dopo la macellazione. In questo processo un notevole rilievo ha l’acido lattico che si genera dagli zuccheri (in particolare il glicogeno ed il glucosio) presente nei muscoli. I muscoli bianchi, più ricchi di zuccheri, hanno una frollatura rapida, mentre i muscoli rossi, il cui carburante è costituito tendenzialmente da grassi, hanno bisogno di frollature prolungate. Inoltre gli animali a carni rosse macellati stressati è facile abbiano esaurito tutto lo zucchero muscolare e quindi abbiano bisogno di una frollatura molto lunga. Tipico è il diverso tempo di frollatura di un cinghiale con i muscoli rossi, abbattuto dopo una più o meno lunga battuta di caccia, in confronto ad un moderno maiale con i muscoli chiari o chiarissimi. In linea di massima la frollatura per il suino è di circa cinque giorni, per il pollo due giorni, per gli ovicaprini otto giorni, per i bovini si varia dai dieci a trenta giorni, anche se non mancano frollature di più mesi.
Altro importante elemento di tenerezza della carne è il metodo di cottura durante la quale, sotto l’azione del calore, le proteine coagulano perdendo acqua. Per questo le cotture prolungate rendono la carne dura e secca, anche se si cuoce in acqua come avviene nel lesso. Cuocere la carne è un’operazione complessa e deve tenere presente diversi fattori, soprattutto la temperatura e la durata della cottura, che devono essere precise e da qui la necessità di termometri e contaminuti. L’attuale successo delle cotture a bassa temperatura è la conseguenza del fatto che il collagene inizia a gelatinizzare e dissolversi a partire dai 55 °C e che le proteine delle fibre muscolari coagulano a circa 65 °C. Con temperature superiori ai 100 °C la carne perde acqua e diviene dura, mentre a temperature inferiori l’acqua rimane all’interno e la carne resta tenera. Quindi temperature basse (65 – 80 °C) e prolungate (diverse ore fino a dieci e più ore) aiutano a intenerire la carne, mentre temperature elevate portano alla disidratazione e all’indurimento della carne.
Senza entrare in dettagli per alcune preparazioni tradizionali, come la classica Bistecca Fiorentina di Chianina, la soluzione ottimale per avere una carne magra e tenera sta nel giusto equilibrio fra grasso, muscolo e connettivo, assieme a una buona frollatura e soprattutto in una cottura con temperatura e tempo necessario a solubilizzare sufficientemente il collagene ed il tessuto connettivo, senza provocare una disidratazione del muscolo. Tuttavia, come Alessio Valentini fa rilevare (Miglioramento genetico per l’industria della carne – Georgofili INFO, 24 gennaio 2018 ) l’industria alimentare tradizionale ha spesso trascurato la qualità del prodotto originario nella convinzione che i processi di trasformazione potessero supplire ad una qualità non ottimale, ma questo non è più vero in un mercato globalizzato estremamente competitivo dove la qualità e la tenerezza della carne è sempre più importante.