Hanno fatto seccare il pozzo ed ora ti vogliono far bere l’acqua da loro scelta. Nel caso dell’olio extravergine di oliva italiano si sono prima industriati a vedere come confondere il consumatore con una classificazione che, per far capire che è vero olio di oliva e che ha requisiti per essere classificato di qualità, bisogna aggiungere a “Olio”, la qualificazione aggiuntiva “extravergine di oliva”, visto che per “olio di oliva” s’intende il peggiore prodotto che si richiama all’estrazione dalle olive. Una classificazione che ha, però, permesso di fare le peggior schifezze e proporle al consumatore , soprattutto a quello che non aveva alcuna idea dell’olio e dell’olivo.
Poi si sono adoperati a mettere politicamente in un angolo l’olivicoltura, la coltura arborea più importante e più diffusa, ed è così che, nel frattempo, la Spagna ha fatto il sorpasso sull’Italia a gran velocità, per poi distanziarla fino a diventare, da anni ormai, irraggiungibile.
Hanno, solo di recente, approvato, ma dopo decenni di distrazione, un piano olivicolo, facendo perdere, in mancanza di un rilancio di questa coltura (l’Italia, oggi, avrebbe bisogno dei 600mila ettari di oliveti che non ha), gran parte delle enormi e straordinarie opportunità che il mercato, già comincia ad offrire, e, che ancor più, offrirà nei prossimi anni. Un piano olivicolo che, per ora, ha dato solo spazio agli impianti olivicoli super intensivi, voluti dalla industria spagnola e applauditi dall’accoppiata Unaprol – Coldiretti, cioè da un’associazione degli olivicoltori e dalla sua organizzazione professionale agricola, la più numerosa, quella che, dal dopoguerra, ha fatto il bello e il cattivo tempo dell’agricoltura italiana .
La promozione, in pratica, di quell’agricoltura industrializzata da parte di tutti quelli che dovrebbe difendere i nostri bravissimi coltivatori, sempre più preziosi e sempre meno, e la nostra agricoltura, fatta di piccole e medie aziende, poste, nella stragrande maggioranza dei casi, sulle colline. Un processo, come quello delle politiche della Ue, funzionale solo alle multinazionali della meccanica, della chimica, dei semi e dei brevetti, che sta portando all’abbandono di vasti territori del nostro Paese e all’esodo di centinaia di migliaia di coltivatori. I nostri preziosi cultori della terra, sempre più tartassati dalla burocrazia e dai finanziamenti europei, con quest’ultimi che, nel tempo, sono diventati cambiali da pagare