In una fase di stallo delle esportazioni agroalimentari italiane (a settembre hanno ceduto il 4,7% annuo), il Ceta rappresenta un’eccezione positiva, dimostrando che -se ben gestiti- gli accordi di libero scambio rappresentano un’opportunità per le imprese.
La lettura degli ultimi dati Istat sul commercio estero consente di tracciare un primo bilancio, trascorsi undici mesi dall’entrata in vigore del negoziato Ue-Canada.
Dal confronto tra il periodo “pre Ceta” (ottobre 2016 – agosto 2017) e quello “post Ceta” (ottobre 2017 – agosto 2018), spiega l’Ufficio Studi di Cia-Agricoltori Italiani, risulta evidente la crescita del 7% che ha caratterizzato la dinamica tendenziale dell’export agroalimentare Made in Italy verso il Canada, con un valore assoluto che ha superato i 761 milioni di euro. Nello stesso intervallo temporale, le esportazioni agroalimentari italiane verso il Mondo sono aumentate del 3%.
In particolare, effetti positivi per le vendite in Canada di alcuni prodotti simbolo dell’Italia, con 303 milioni di euro realizzati dal settore vino (+3% annuo); inoltre, balzo in avanti del 13% per le vendite tricolori di formaggi e latticini verso Ottawa, Vancouver e Toronto.
Anche sul lato dell’import di grano, fonte di preoccupazione in passato per gli operatori nazionali, si è assistito a un suo dimezzamento dall’entrata in vigore del Ceta.
Dati oggettivi che le istituzioni non possono non prendere in considerazione -osserva Cia-. Un mercato strategico per le aziende italiane, quello canadese, con un Pil pro capite in crescita che, dal 2000 a oggi, è aumentato del 62%, superando lo scorso anno i 45 mila dollari (l’Italia si ferma a meno di 32 mila dollari pro capite).