Le Regioni sono piuttosto critiche sulla proposta di legge che stabilirebbe alcuni princìpi fondamentali per la gestione delle acque pubbliche ai fini della pesca sportiva. In un doumento approvato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome si sottolineano diversi profili normativi “carenti”. Prima di tutto non si prevede alcuna disciplina per la pesca di professione, dimenticando che si tratta di un’attività produttiva di assoluta rilevanza. Sotto accusa anche l’ecessivo dettaglio delle norme mentre lo scopo della norma nazionale dovrebbe essere quello di legge quadro. Infine l’attuale formulazione il disegno di legge presenta criticità anche sottto il profilo costituzionale per la violazione del Titolo V della Costituzione e in particolare dell’art. 117.
Si riporta di seguito il tetso del docuemnto (già pubblicato nel portale www.regioni.it, sezione “Conferenze”) che è stato consegnato al Governo durante la Conferenza Stato-Regioni del 20 dicembre.
Posizione sulla proposta di legge recante ‘norme generali per la protezione e la conservazione della fauna ittica nelle acque interne attraverso la determinazione di princìpi fondamentali riguardanti la gestione delle acque pubbliche del territorio nazionale ai fini della pesca e del turismo alieutico sportivo-ricreativo’.
Dal punto di vista generale, si pone l’accento sul fatto che il disegno di legge non assolve ad una importante ed evidente esigenza, quale quella di individuare criteri ispiratori nuovi e più moderni (anche in riferimento alle positive esperienze di altri Paesi), nonché quella di inquadrare la disciplina della materia nel contesto della riforma del titolo V, della parte seconda della Costituzione, con il conseguente rilievo da attribuire alle competenze legislative regionali.
Il disegno di Legge parte dalla necessità di voler superare un quadro normativo nazionale estremamente datato (Regio decreto n.1604 del 1931) e connotato da frammentarietà, imputabile alla notevole serie di provvedimenti di delega statale alle Regioni. Inoltre, dall’analisi dell’articolato sembrerebbe emergere un tentativo di trasferimento dell’intero territorio nazionale delle acque interne, costituito dalle “acque dei laghi, degli stagni, dei fiumi e di ogni altro corso d’acqua dolce o salmastra compreso entro la linea congiungente i punti più foranei delle foci e degli altri sbocchi al mare”, quale riserva personale di pesca ad associazioni di pescatori sportivi. In questa proposta di Legge, infatti, la pesca professionale risulterebbe fortemente penalizzata.
Il disegno di legge non considera che alle Province autonome è attribuita dallo Statuto speciale e dalle relative norme di attuazione la potestà legislativa primaria in materia di “caccia e pesca” e la correlativa potestà amministrativa (art. 8, n. 15) St., art. 16 St., D.P.R. 22 marzo 1974, n. 279); il disegno di legge prevedendo norme, anche di dettaglio e di diretta applicazione nonché vincoli normativi, si pone quindi in contrasto con le norme statutarie sopra richiamate e con il particolare sistema di adeguamento delle fonti legislative provinciali, garantito dalla normativa di attuazione statutaria (d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266).
Risulta, poi, non comprensibile come in una Legge venga sancita la possibilità, per i soli pescatori sportivi, di ottenere in concessione interi laghi, fiumi, stagni e acque salmastre. In molte realtà italiane le acque interne sono utilizzate dalla pesca professionale e dagli acquacoltori, si pensi solo alle lagune costiere in cui si sviluppa la pesca e l’acquacoltura estensiva, ovvero, relativamente alle acque salmastre, l’allevamento di mitili. Analogamente tale proposta di Legge determina un trasferimento di competenze dalle Istituzioni Pubbliche alle Associazioni della Pesca Sportive (Tavolo Blu, Guardie Ittiche, ripopolamenti, Guide turistiche, etc); pertanto occorre rivedere l’assetto delle competenze nella gestione delle acque interne.
Per quanto riguarda il profilo legislativo, il testo presenterebbe ampi margini di revisione, al fine di dare completezza ad alcuni aspetti, ridurre l’eccessivo dettaglio di altri, nonché definire un giusto equilibrio tra competenze costituzionali dello Stato e competenze costituzionali delle Regioni. Inoltre l’analisi tecnica mette in luce possibili ed importanti ricadute, sul piano organizzativo e delle modalità di gestione della Pesca, nelle 21 Regioni e Province autonome, in considerazione del fatto che le stesse hanno da tempo disciplinato la materia, sicché la stessa si può considerare ormai consolidata.
L’intero impianto normativo sarebbe, pertanto, da riformulare seguendo il principio che occorra prima favorire i pescatori professionisti e gli acquacoltori, che dall’utilizzo delle acque interne traggono il proprio sostentamento; anzi occorre prevedere tutto quanto riportato nella bozza di Legge, prioritariamente, per chi vive di questa attività; offrendo, ai professionisti, la possibilità di diversificare la propria attività con altre, quali ad esempio la gestione degli specchi acquei, al fine di offrire servizi alla pesca sportiva, per lo sport ed il tempo libero. Si evidenzia che tale possibilità è molto favorita dalla Commissione Europea, tanto che l’art. 44 del Regolamento 508/2014 (FEAMP) prevede con forza questa possibilità.
Infine, nel disegno di legge tutte le acque interne sono trattate in egual maniera: nulla è stato normato in merito alle acque da utilizzare per scopi produttivi e nulla è stato definito in merito alle aree ricadenti in quelle afferenti ai siti Natura 2000.
Per meglio comprendere le motivazioni di tale valutazione, di seguito si specificano alcune criticità individuate, dal punto di legislativo-normativo.
- Il ddl interviene in un ambito caratterizzato da un evidente intreccio di competenze. Riferendosi alla pesca, la Corte costituzionale ha avuto occasione di precisare che essa “costituisce materia oggetto della potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., sulla quale, tuttavia, per la complessità e la polivalenza delle attività in cui si estrinseca, possono interferire più interessi eterogenei, taluni statali, altri regionali, con indiscutibili riflessi sulla ripartizione delle competenze legislativa ed amministrativa. Per loro stessa natura, talune attività e taluni aspetti riconducibili all’attività di pesca non possono, infatti, che essere disciplinati dallo Stato, atteso il carattere unitario con cui si presentano e la conseguente esigenza di una loro regolamentazione uniforme. A ciò va aggiunto che per quegli aspetti, pur riconducibili in qualche modo all’attività di pesca, che sono connessi a materia di competenza ripartita tra Stato e Regioni (tutela della salute, alimentazione, tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l’estero, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione delle imprese per il settore produttivo della pesca, porti, previdenza complementare e integrativa, governo del territorio) sussiste la potestà legislativa statale nella determinazione dei principi fondamentali, ai quali il legislatore regionale, nel dettare la disciplina di dettaglio, deve attenersi.” (sentenza n. 213/2006);
- si osserva che il ddl delinea un quadro di riferimento – largamente incompiuto per certi aspetti, fin troppo dettagliato, per altri – dichiaratamente volto ad assumere una “funzione di cornice” basata su principi quali la “protezione,conservazione e incremento della fauna ittica”, la “gestione e tutela dei relativi ambienti”, la “disciplina dell’attività di pesca professionale e di pesca sportiva e ricreativa” (cfr. art. 1, comma 6, lettere a), b), c)), senza distinguere fra aspetti che attengono alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, per i quali il legislatore statale può fissare ben più pregnanti standard uniformi di tutela e altri aspetti che involgono competenze regionali concorrenti o residuali. Peraltro, la “disciplina dell’attività di pesca professionale e di pesca sportiva e ricreativa” non può considerarsi un principio, né può considerarsi principio la mera “gestione” degli ambienti in cui vive la fauna ittica;
- alcuni contenuti di cui si parla nella relazione illustrativa non v’è traccia nell’articolato;
- il ddl contiene invece disposizioni molto dettagliate, non sorrette da esigenze di carattere unitario, che non lasciano alcuno spazio normativo per le Regioni o che appaiono comunque irrispettose della loro autonomia e delle loro peculiarità. Ci si riferisce, in particolare, alle disposizioni di cui agli articolo n. 1, comma 3; articolo n. 4, comma 3; articolo n. 7, commi 2 e 3; articoli nn. 8, 10, 11; quest’ultimo recante la rigida previsione di quattro tipologie di classificazione delle acque (acque pregiate: tipo A), acque ciprinicole: tipo B), acque principali: tipo C), acque alterate: tipo modalità di gestione della Pesca, nelle 21 Regioni e Province autonome, in considerazione del fatto che le stesse hanno da tempo disciplinato la materia, sicché la stessa si può considerare ormai consolidata.
L’intero impianto normativo sarebbe, pertanto, da riformulare seguendo il principio che occorra prima favorire i pescatori professionisti e gli acquacoltori, che dall’utilizzo delle acque interne traggono il proprio sostentamento; anzi occorre prevedere tutto quanto riportato nella bozza di Legge, prioritariamente, per chi vive di questa attività; offrendo, ai professionisti, la possibilità di diversificare la propria attività con altre, quali ad esempio la gestione degli specchi acquei, al fine di offrire servizi alla pesca sportiva, per lo sport ed il tempo libero. Si evidenzia che tale possibilità è molto favorita dalla Commissione Europea, tanto che l’art. 44 del Regolamento 508/2014 (FEAMP) prevede con forza questa possibilità.
Infine, nel disegno di legge tutte le acque interne sono trattate in egual maniera: nulla è stato normato in merito alle acque da utilizzare per scopi produttivi e nulla è stato definito in merito alle aree ricadenti in quelle afferenti ai siti Natura 2000.
Per meglio comprendere le motivazioni di tale valutazione, di seguito si specificano alcune criticità individuate, dal punto di legislativo-normativo.
- Il ddl interviene in un ambito caratterizzato da un evidente intreccio di competenze. Riferendosi alla pesca, la Corte costituzionale ha avuto occasione di precisare che essa “costituisce materia oggetto della potestà legislativa residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., sulla quale, tuttavia, per la complessità e la polivalenza delle attività in cui si estrinseca, possono interferire più interessi eterogenei, taluni statali, altri regionali, con indiscutibili riflessi sulla ripartizione delle competenze legislativa ed amministrativa. Per loro stessa natura, talune attività e taluni aspetti riconducibili all’attività di pesca non possono, infatti, che essere disciplinati dallo Stato, atteso il carattere unitario con cui si presentano e la conseguente esigenza di una loro regolamentazione uniforme. A ciò va aggiunto che per quegli aspetti, pur riconducibili in qualche modo all’attività di pesca, che sono connessi a materia di competenza ripartita tra Stato e Regioni (tutela della salute, alimentazione, tutela e sicurezza del lavoro, commercio con l’estero, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione delle imprese per il settore produttivo della pesca, porti, previdenza complementare e integrativa, governo del territorio) sussiste la potestà legislativa statale nella determinazione dei principi fondamentali, ai quali il legislatore regionale, nel dettare la disciplina di dettaglio, deve attenersi.” (sentenza n. 213/2006);
- si osserva che il ddl delinea un quadro di riferimento – largamente incompiuto per certi aspetti, fin troppo dettagliato, per altri – dichiaratamente volto ad assumere una “funzione di cornice” basata su principi quali la “protezione,conservazione e incremento della fauna ittica”, la “gestione e tutela dei relativi ambienti”, la “disciplina dell’attività di pesca professionale e di pesca sportiva e ricreativa” (cfr. art. 1, comma 6, lettere a), b), c)), senza distinguere fra aspetti che attengono alla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, per i quali il legislatore statale può fissare ben più pregnanti standard uniformi di tutela e altri aspetti che involgono competenze regionali concorrenti o residuali. Peraltro, la “disciplina dell’attività di pesca professionale e di pesca sportiva e ricreativa” non può considerarsi un principio, né può considerarsi principio la mera “gestione” degli ambienti in cui vive la fauna ittica;
- alcuni contenuti di cui si parla nella relazione illustrativa non v’è traccia nell’articolato;
- il ddl contiene invece disposizioni molto dettagliate, non sorrette da esigenze di carattere unitario, che non lasciano alcuno spazio normativo per le Regioni o che appaiono comunque irrispettose della loro autonomia e delle loro peculiarità. Ci si riferisce, in particolare, alle disposizioni di cui agli articolo n. 1, comma 3; articolo n. 4, comma 3; articolo n. 7, commi 2 e 3; articoli nn. 8, 10, 11; quest’ultimo recante la rigida previsione di quattro tipologie di classificazione delle acque (acque pregiate: tipo A), acque ciprinicole: tipo B), acque principali: tipo C), acque alterate: tipo D)) che potrebbe non consentire di operare classificazioni rapportate alle effettive caratteristiche delle acque interne. Si osserva, inoltre, che la previsione della possibilità di immissione di fauna ittica alloctona nelle “acque alterate” contrasta con il divieto, posto dall’art. 12, comma 3, del dpr 357/1997 (Regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), di introduzione in natura di “specie e popolazioni non autoctone.” Di fatto, s’introdurrebbe una deroga al suddetto divieto ancor prima della modifica della disciplina recata dal sopracitato art. 12, comma 3, alla quale rinvia l’art. 13 dello stesso ddl.
Di seguito si riportano ulteriori e puntuali considerazioni riferite ai singoli articoli:
- All’art. 1, comma 3, non sono chiare la portata e le implicazioni della distinzione tra “fauna ittica” e “fauna delle acque interne”. Al comma 4 dello stesso articolo non è chiaro cosa s’intende per ‘‘amministrazioni competenti” e desta perplessità la previsione di una “deroga temporanea” al divieto previsto “fino all’emissione dei regolamenti predisposti” dalle medesime amministrazioni.
- All’art. 2, Esercizio della pesca, comma 1 – La definizione di attività di pesca risulta estremamente limitante. L’attuale normativa regionale e consolidata giurisprudenza prevedono quale attività di pesca ogni atto predeterminato alla cattura di fauna ittica. Al comma 3, da verificare la compatibilità con le norme del Codice Civile e sul Codice Penale (art. 614 e ss) in merito all’accesso alla proprietà privata.
- All’art. 3, comma 2, lettere a) e b), risulta vago il riferimento a “leggi e regolamenti vigenti”, per quanto concerne gli attrezzi, i tempi e i modi per l’esercizio della pesca (professionale e non professionale), e privo di riscontro testuale il riferimento a previsioni contenute nella “presente legge”. Pare inoltre artificiosa la distinzione introdotta dallo stesso articolo fra licenza di tipo “B” e licenza di tipo “C” “riservata agli stranieri per l’esercizio della pesca secondo quanto previsto per la licenza di tipo “B”;
Inoltre, il comma 2, lettera a), dell’art. 3 del DL prevede che la licenza di pesca professionale sia riservata agli iscritti negli elenchi di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250 (inquadramento previdenziale). Tale approccio è obsoleto ed eccessivamente restrittivo e non tiene conto della più recente evoluzione normativa e giurisprudenziale, che consente ai pescatori professionisti inquadramenti previdenziali diversi da quelli della legge n. 250/1958. Ad esempio, l’art. 4, comma 4 del D.Lgs. n. 4/2012 prevede che “fatte salve le più favorevoli disposizioni di legge di settore, all’imprenditore ittico si applicano le disposizioni previste per l’imprenditore agricolo”, inclusa l’iscrizione al regime previdenziale agricolo. Anche i pescatori marittimi iscritti agli elenchi di cui alla legge 26 luglio 1984, n. 413, hanno diritto a ottenere la licenza di pesca professionale per le acque interne. Altresì non si tiene in alcuna considerazione le attività connesse alla pesca e all’acquacoltura come il pescaturismo e l’ittiturismo che comunque rientrano tra le attività professionali dell’Imprenditore Ittico e che non sono incluse tra i casi previsti dalla L n. 250/1958.
Al comma 3, si evidenziano alcune differenze in merito alle categorie esenti rispetto alla normativa di alcune regioni. In particolare, in base al DL, i giovani per cui è prevista l’esenzione dovrebbero sempre essere accompagnati da un adulto maggiorenne, abbassando da 18 a 16 anni la soglia di esenzione. Inoltre il DL non prevede esenzioni per i soggetti portatori di handicap di cui alla legge n. 104/1992. I commi 4 e 5 dell’articolo 3 del DL presuppongono un periodo di vigenza della licenza di pesca superiore ad un anno. Tuttavia il DL non prevede alcun periodo di vigenza per le licenze di pesca. In molte Regioni il periodo di vigenza della licenza di pesca dilettantistico sportiva è di un anno dalla data di versamento della tassa di concessione regionale. Inoltre le misure di cui ai commi 4 e 5 risultano del tutto inapplicabili in assenza di una banca dati sulle infrazioni sia di tipo amministrativo sia di tipo penale.
- all’articolo 4, comma 1, lett. g) viene individuata la possibilità di ottenere in gestione e/o in concessione le acque interne alle sole Associazioni di Pesca Sportive Nazionali riconosciute (cfr artt.6,7, e 10), escludendo qualsiasi altro soggetto, addirittura anche le Associazioni ambientaliste;
- all’art. 4, comma 1, lett. h) del Disegno di Legge è presente una delega in materia di sanzioni penali alle Regioni, ma la materia penale è tassativamente riservata alla legge dello Stato ex artt. 27 e 117, comma 2, Cost.;
- all’art. 5 del DDL si prevede la competenza di un organo consultivo (il cd. “Tavolo Blu” Nazionale) “di individuare norme di regolamentazione e gestione sostenibile della pesca sportiva e ricreativa”, non si comprende a che titolo e con quale valore ed efficacia, stante la potestà legislativa residuale esclusiva delle Regioni a legiferare e regolamentare suddetta materia ex art. 117, comma 4, Cost.;
- non si comprende la ragione dell’istituzione di un albo nazionale delle associazioni di pesca sportiva e ricreativa (art. 6) che si sovrapporrebbe agli albi regionali (art. 7). Per giunta, come è stato rilevato, i requisiti di iscrizione sono talmente stringenti da consentire l’iscrizione della sola Federazione italiana pesca Sportiva e attività subacquee (FIPSAS);
- all’art.6 comma 4, lett. h) si chiede che per poter essere riconosciuta quale Associazione di Pesca sportiva occorre svolgere anche attività di ripopolamento. Tale attività non può in nessun modo essere lasciata a privati, ma deve essere realizzata, esclusivamente, da strutture pubbliche quali ad esempio i centri ittiogenici; inoltre non si comprende assolutamente la possibilità di ripopolare le nostre acque interne con specie non autoctone, ancorché sterilizzate (cfr art.13);
- all’art. 7, il ddl si spinge fino ad invadere persino la potestà legislativa esclusiva in materia di autoorganizzazione delle Regioni, sì da creare persino un vulnus agli Statuti regionali, laddove demanda alle Regioni l’istituzione degli albi regionali delle associazioni di pesca (competenza che le Regioni già hanno e che dunque non va “demandata”) e si spinge illegittimamente a definire quali siano gli organi regionali competenti ad adottare i relativi provvedimenti amministrativi e che forma (decreto del Presidente) debbano avere tali provvedimenti;
- all’art. 8, comma 1, sembra particolarmente restrittivo e immotivato assoggettare tutte le manifestazioni di pesca sportiva alla regolamentazione del CONI. Ci sono moltissime manifestazioni di pesca sportiva a carattere locale che andrebbero assoggettate esclusivamente alle normative emanate dalle regioni in base alle caratteristiche peculiari dei corsi d’acqua e alle consuetudini locali. Al comma 4, andrebbe specificato che anche le gare e le manifestazioni in acque in concessione devono rispettare le normative nazionali e regionali in materia;
- le Regioni e le Province Autonome rilevano, inoltre, che l’intenzione di istituire la figura di “guide professionali turistiche di pesca sportiva e ricreativa” all’art. 9 del DDL in commento, cui viene conferito un taglio più propriamente tecnico-sportivo che non turistico tanto da prevedere che la relativa qualifica sia riconosciuta dal CONI, deputato al rilascio di “idonea attestazione di frequenza e superamento del corso di formazione con esame finale”, fornisce l’occasione di segnalare al Parlamento, la necessità di definire una Legge Quadro per tutte le professioni turistiche, che assurge a vera e propria esigenza improcrastinabile. A tale riguardo si evidenzia che è stato avviato un confronto con il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari, Forestali e del Turismo.
Nel merito dell’art. 9, è importante far chiarezza sull’essenza della menzionata figura professionale: o si tratta di un istruttore, stando a quanto pare di capire dal disposto dal comma 1 dello stesso articolo, ed allora è bene correggerne la rubrica onde evitare di ingenerare confusione con la figura di guida turistica vera e propria, oppure, qualora si voglia attribuire una connotazione contiene, al comma 1, una definizione di acque interne “ai fini del presente articolo” non perfettamente coincidente con quella contenuta nell’art. 1, comma 7, ai fini dell’intera legge;
- all’art. 15 si prevede l’istituzione di un “Osservatorio nazionale sul bracconaggio” senza neanche definirne i compiti e la composizione o almeno i criteri di composizione;
- con riferimento alla disposizione di cui all’art. 16, “Finanziamenti”, l’articolo pone in capo alle Regioni e le Province Autonome l’obbligo di destinare parte degli introiti derivanti dalla riscossione delle tasse relative alle licenze di pesca a favore delle attività ivi elencate.
Si avanza, in primis, un rilievo formale: l’art. 16 comma 1 lett.) b cita testualmente “destinare alle associazioni piscatorie iscritte agli Albi di cui agli articoli 6 e 7 un contributo per le spese sostenute per le operazioni di cooperazione con le amministrazioni competenti, di cui al comma 8 dell’articolo 7”; tale comma 8, però, non è presente nel richiamato art. 7.
In secundis, si esprime un rilievo sostanziale, ovvero che l’individuazione da parte del Legislatore nazionale delle attività cui le Regioni e le Province Autonome dovrebbero destinare parte degli introiti derivanti dalla riscossione delle tasse relative alle licenze di pesca, sembra sostanziarsi in una invasione della competenza legislativa esclusiva delle Regioni in materia di turismo: sembra collidere con gli artt. 117 e 119 della Costituzione anche se va tenuto conto che la materia di cui all’esaminando DDL, per la varietà degli argomenti trattati, è trasversale e, quindi, rientrante tra le varie competenze, sia esclusiva che concorrente, dello Stato e delle Regioni.
Infine, l’erogazione di “contributi diretti”, derogando alle vigenti norme generali sul “Terzo Settore” (D.Lgs. 3 luglio 2017, n. 117) che consentono esclusivamente la stipula di convenzioni, nell’ambito delle quali è possibile prevedere il rimborso delle sole spese effettivamente sostenute e debitamente rendicontate; sarebbe questa la prima deroga significativa in tal senso, rispetto alla quale non si possono non porre serie questioni di opportunità, piuttosto che di legittimità;
- l’art. 17 (Norme transitorie e finali) contiene – al comma 3 – un’abrogazione innominata (“A decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge cessano di avere efficacia tutti i provvedimenti legislativi o regolamentari afferenti alla disciplina della pesca nelle acque interne pubbliche che contrastano con la medesima legge”) inevitabilmente destinata a creare incertezza. Prevede poi l’aggiornamento, “ove necessario”, della legislazione regionale entro un anno (comma 4) e addirittura l’aggiornamento immediato, entro diciotto mesi, dei regolamenti di pesca adottati dalle Province senza passare per l’aggiornamento delle leggi regionali da cui discendono. (comma 5).
- CONCLUSIONE
- In generale il disegno di legge appare carente sotto plurimi profili normativi. In particolare non prevede alcuna disciplina per la pesca di professione, omettendo in radice l’intera materia, la quale è attività produttiva di assoluta rilevanza.
- La finalità del disegno di legge dovrebbe essere quella di costruire la cornice normativa, lasciando le disposizioni di dettaglio alla potestà delle Regioni, enti territorialmente competenti.
- Nell’attuale formulazione, pertanto, il disegno di legge appare non esente da censure di livello costituzionale per violazioni del Titolo V della Costituzione e in particolare dell’art. 117.