Mercato degli agrumi sempre più in crisi e prezzi in discesa. E’ la calamità silenziosa che sta gelando le aspettative dei produttori agrumicoli del Tarantino e lasciando buona parte prodotto sulla pianta. Gli esperti stimano che tra il 40 e 50 per cento degli agrumi, a fronte di una produzione abbondante, rischia di non essere raccolta. Una prospettiva che non risparmia nemmeno le clementine, prodotto principe dell’area compresa tra Massafra, Castellaneta, Ginosa, Palagianello e Palagiano, dove operano quasi 2mila aziende.
L’andamento del prezzo medio non lascia scampo: 44 centesimi al chilo a novembre per le clementine, ossia meno 18 per cento rispetto al mese precedente (54 cent/kg), 37 cent/kg per le arance, in risalita di un misero 1,6% nello stesso periodo. «Ma a gennaio – dice preoccupato Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Taranto e vicepresidente regionale – i prezzi sono ulteriormente crollati. Sulla piazza di Taranto le clementine quotano all’origine tra 23 e 28 cent al chilo, mentre le arance tra 28 e 33. Sono le cifre di un vero e proprio disastro, contro il quale stiamo provando a costruire un argine comune con la Provincia di Taranto, recentemente investita di un problema che, sia chiaro, si somma agli altri sollevati in maniera eclatante dalla mobilitazione dei gilet arancioni: Psr in gravissimo ritardo, Xylella e gelate».
«Alla Provincia – ricorda il presidente di Confagricoltura Taranto – abbiamo chiesto, in particolare, di aprire una corsia di precedenza per l’assegnazione agli agricoltori dei fondi della gelata 2017, si tratta di oltre 2 milioni di euro; di lanciare un’intensa campagna pubblicitaria, finanziata dai Comuni territorialmente investiti dal problema per spingere le vendite alle migliori condizioni di mercato; siglare accordi con le OP per l’assorbimento, anche parziale, dell’enorme quantitativo di prodotti ancora sulle piante; mettere in campo politiche di sostegno al reddito, di riduzione degli oneri contributivi e delle imposte a carico delle aziende agricole, moratorie dei mutui e di ogni forma di finanziamento alle imprese agricole».
A rischio c’è un settore, quello agrumicolo, che vale tra i 60 e gli 80 milioni annui e si avvale di diverse migliaia di giornate dei lavoratori agricoli. Per Lazzàro, però, non bisogna fermarsi all’emergenza costituita dal prezzo assolutamente non redditizio: «Lo stallo – spiega il presidente – è strutturale e di sistema ed è dovuto ad una serie di concause. Innanzitutto la mancata attuazione del catasto agrumario, ma anche l’inadeguatezza degli apparati commerciali, la mancanza di una pianificata e ponderata politica di miglioramento delle varietà, la vulnerabilità delle piante rispetto alle virosi sempre più aggressive, la rigidità della burocrazia che impedisce o ritarda, rendendola inefficace, ogni forma di sostegno al reddito o aiuto finanziario per l’ammodernamento del parco macchine e attrezzi delle aziende agricole, ormai obsoleto».
Per questo – rimarca Lazzàro – «servono strategie di lungo periodo, gli investimenti che il Psr doveva far decollare e che, invece, ha affossato. Bisogna lavorare da un lato sulla competitività delle nostre aziende, in particolare sulla capacità di strutturare l’offerta, dall’altro intervenire sulle politiche commerciali europee, sia interne, ad esempio rispetto al prodotto che arriva dalla Spagna, sia all’esterno con le importazioni a prezzi stracciati dal Marocco. E’ un quadro fortemente penalizzante – conclude Lazzàro – per il quale servono risposte adeguate e urgenti ad ogni livello di governo: i gilet arancioni, del resto, hanno suonato la sveglia per tutti, nessuno escluso».