L’11 dicembre è stato approvato alla Camera, con larghissima maggioranza, il dl “Disposizioni per la tutela, lo sviluppo e la competitività della produzione agricola, agroalimentare e dell’acquacoltura con metodo biologico” che sarà discusso in Senato a partire dal 9 Gennaio. Qualcosa però può essere rivisto. “Desideriamo richiamare l’attenzione dei legislatori su alcune significative mancanze e su alcuni punti che sono preoccupanti per quanto riguarda le attività di insegnamento e ricerca scientifica di università, Cnr e Crea”, scrivono nel loro intervento le associazioni Aissa (Associazione delle Società Scientifiche Agrarie), Conferenza di Agraria, Fisv (Federazione Italiana Scienze della Vita) e Anbi (Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani).
Le preoccupazioni Alcuni punti in questione sono ad esempio la parte del decreto in cui sono promossi specifici percorsi formativi nelle Università pubbliche attraverso la possibilità di attivare corsi di laurea, dottorati di ricerca, master e corsi di formazione in tema di produzione biologica; oppure il fatto che nel piano triennale di attività del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria sono previsti interventi per la ricerca nel settore della produzione biologica. “Promuovere specifici corsi di laurea e dottorati di ricerca, cosi come decretare per legge che parte dei fondi del Cnr e Crea siano obbligatoriamente dedicati all’agricoltura biologica significa condizionare fortemente la ricerca scientifica – dicono le associazioni – Tutto ciò va nella direzione di sostenere materialmente un nuovo “pensiero unico” sull’agricoltura, con un atteggiamento manicheo e ingiustificato, che, sebbene ormai ampiamente diffuso nei media, va evitato nei luoghi nei quali si formano ai massimi livelli le future generazioni di imprenditori agricoli e di ricercatori del Paese. L’Università deve invece mantenere la sua capacità di insegnare il pensiero critico. Al proposito, sarebbe innanzitutto fondamentale sanare il mancato inserimento dei corsi delle classi di laurea dell’intera area agraria nel Piano delle Lauree Scientifiche predisposto dal Miur, inspiegabilmente dimenticato e più volte richiesto dall’intera comunità scientifica. Inoltre, da un punto di vista tecnico-scientifico, non si capirebbe in cosa possa differenziarsi un corso di laurea in agricoltura biologica dai corsi di laurea e di laurea magistrale in scienze agrarie che sono ora offerti e che hanno come filo conduttore la sostenibilità delle produzioni, dell’allevamento e della trasformazione”.
La questione biologico Le associazioni citano il testo della legge: “La produzione biologica è attività di interesse nazionale con funzione sociale e ambientale, in quanto settore economico basato prioritariamente sulla qualità dei prodotti, sulla sicurezza alimentare, sul benessere degli animali, sullo sviluppo rurale, sulla tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e sulla salvaguardia della biodiversità, che concorre alla tutela della salute e al raggiungimento degli obiettivi di riduzione dell’intensità delle emissioni di gas a effetto serra”. A tal proposito, continuano, “osserviamo che tutto ciò non è monopolio dell’agricoltura biologica, la cui presunta eccellenza in questi campi è anzi messa in forte discussione dai dati reali disponibili. Va anche sottolineato che l’approccio per divieto che caratterizza il miglioramento genetico biologico, dove bisogna limitarsi a “utilizzare la capacità riproduttiva naturale e prestare attenzione alle barriere naturali all’incrocio” (Regolamento UE 2018/848) evitando fra l’altro ogni utilizzo di tecniche di DNA ricombinante, è puramente ideologico e non ha nessuna relazione con l’obiettivo di promuovere un’agricoltura sostenibile”.
Sviluppo e competitività dell’agricoltura. I dubbi delle associazioni sulla legge: “Favorito solo il biologico, ideologia”
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