di Marco Nuti – Accademia dei Georgofili
Il mais transgenico ha rese superiori rispetto al mais non ingegnerizzato, la granella contiene meno micotossine e fumonisina, non comporta rischi superiori al non transgenico per la salute dell’ambiente. Queste le conclusioni che arrivano da uno studio condotto da ricercatori italiani dell’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa, con il coordinamento di Laura Ercoli, docente di Agronomia e Coltivazioni Erbacee all’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna.
Lo studio, pubblicato su “Scientific Reports”, riguarda gli effetti della coltivazione di mais transgenico, prendendo in considerazione 21 anni di coltivazione mondiale, tra il 1996 – anno di inizio della coltivazione del mais transgenico – e il 2016. Non soltanto: per la prima volta lo studio dimostra, dati statistici e matematici alla mano, che il mais transgenico non comporta pericoli per la salute umana, animale e ambientale che siano superiori a quelli del corrispondente mais non transgenico. La storia delle piante transgeniche (si preferisce questo termine all’altro di “piante geneticamente modificate” in quanto quest’ultimo comprenderebbe anche le varietà vegetali migliorate con mutagenesi da raggi X; in effetti numerosi frumenti sono “geneticamente modificati”) nasce nel 1975 ma solo nel 1996 si passò alla coltivazione vera e propria. Da allora, l’area coltivata si è estesa a 185 milioni di ha e coinvolge circa 15 milioni di agricoltori.
Lo studio raccoglie i risultati di ricerche condotte in pieno campo negli Stati Uniti, in Europa, Sud America, Asia, Africa e Australia, e paragona le varietà transgeniche con le parentali non transgeniche e ha dimostrato, in maniera decisa, che il mais transgenico è notevolmente più produttivo tra il 5,6 e 24,5 %, non ha effetto sugli organismi non-target, tranne la naturale diminuzione del Braconide parasitoide dell’insetto dannoso target Ostrinia nubilalis e contiene concentrazioni minori di micotossine (meno 28,8%) e fumonisine (meno 30,6%) nella granella.
Lo studio applica le moderne tecniche matematico-statistiche di meta-analisi, analisi statistiche di risultati provenienti da studi indipendenti, che sono in grado di integrare i risultati dei diversi studi in modo da trarre conclusioni più forti rispetto a quelle ottenute da ogni singolo studio. In questo caso la meta-analisi si basa su 11.699 osservazioni che riguardano le rese, la qualità della granella (incluso il contenuto in micotossine), l’effetto sugli insetti target e non-target, i cicli biogeochimici come contenuto di lignina negli stocchi e nelle foglie, perdite di peso della biomassa, emissione di CO2 dal suolo.
La European Court of Justice di recente aveva sentenziato che, a meno di una “evidenza significativa” sul serio rischio alla salute umana, animale e ambientale portato dalla coltivazione di piante geneticamente modificate, gli Stati Membri non potessero adottare misure d’emergenza per proibirne l’uso. Lo studio dimostra che, dopo ventuno anni di coltivazione del mais transgenico in tutto il mondo, non esiste alcuna “evidenza significativa” di rischi alla saluta umana, animale od ambientale. Al contrario, i dati della meta-analisi indicano con chiarezza la diminuzione delle micotossine e fumonisine, sostanze contaminanti contenute negli alimenti e nei mangimi e responsabili di fenomeni di tossicità acuta e cronica. La diminuzione di tali sostanze nella granella del mais transgenico, impiegata in alimenti per l’uomo e per gli animali, può avere effetti molto significativi per la salute umana. Gli autori dello studio (Elisa Pellegrino, Stefano Bedini, Marco Nuti, Laura Ercoli) hanno sottolineato che “i risultati ottenuti, come tutti i risultati scientifici, sono solo graduali e in itinere, ma forniscono una sintesi efficace su un problema specifico molto discusso pubblicamente”.