La giunta di Confagricoltura ha analizzato oggi la difficile situazione del comparto ovino sardo e di quegli allevatori che in questi giorni hanno espresso apertamente il loro malcontento. Si tratta di un comparto che interessa oltre 50mila allevamenti per oltre 7 milioni di capi. In Sardegna si concentrano il 25 per cento degli allevamenti e oltre la metà dei capi.
«E’ evidente – spiega Confagricoltura – che la situazione particolarmente critica di queste ultime settimane rientra in una dinamica purtroppo ricorrente, che vede ripetersi, da alcuni anni, periodi di aumento alternati a periodi di cali, anche bruschi, delle quotazioni».
In questo momento, come confermano le cifre ufficiali diffuse ieri dalla stessa Ismea (v. tabella) i costi di produzione sono sistematicamente al di sotto dei prezzi alla produzione riconosciuti alla parte agricola, che sta operando in una situazione di deficit costi/ricavi. Una situazione che dipende dai rapporti all’interno della filiera che, a parere dell’Organizzazione degli imprenditori agricoli, vanno decisamente migliorati, ma anche da una errata programmazione, che ha spinto ad eccessi di produzione a fronte di un contenuto aumento dei consumi interni e, soprattutto, di una brusca frenata dell’export che nel 2018 è calato del 33,3 per cento in quantità.
Per Confagricoltura è quindi opportuno intervenire con una serie di misure per salvaguardare la filiera dell’allevamento ovino, a partire dalla rilevante componente sarda.
In particolare:
- occorre in primo luogo prevedere forme di ristoro immediato della carenza di liquidità degli allevatori colpiti dalla crisi;
- al fine di ridurre i costi dei mangimi in forte crescita, è opportuno introdurre un incentivo per ettaro a favore degli allevatori, finalizzato a migliorare la quantità e la qualità della produzione di proteine vegetali valorizzando erbai, prati e prati-pascoli;
- andrà poi valutata la possibilità di attivare ogni strumento di politica agricola nazionale e/o comunitaria per alleggerire il mercato dal surplus di prodotto, ritardandone l’immissione in commercio e valutando la possibilità di destinare parte del prodotto agli indigenti;
- va comunque rivista la modalità di programmazione delle produzioni a denominazione di origine, che deve essere realizzata in un quadro di completa trasparenza e conoscenza dei dati di produzione e commercializzazione, che vanno a loro volta costruiti con un sistema di tracciabilità completa in analogia con quello già previsto per la filiera bufalina. La programmazione dovrà essere realizzata in piena collaborazione tra trasformatori e allevatori e prevedendo anche obiettivi realistici, in linea con gli andamenti di mercato e comunque prevedendo sanzioni efficaci e dissuasive per chi contravviene agli obiettivi fissati;
- al fine di ristabilire un rapporto leale tra gli operatori della filiera occorrerà poi valutare come migliorare le relazioni contrattuali e se ricorrono gli estremi per applicare la normativa nazionale sulle pratiche sleali (Legge n. 1/2012); in particolare, alla luce dei dati diffusi da Ismea, prendere in considerazione la possibilità di avviare una indagine per la vendita di prodotto agricolo palesemente sottocosto;
- la crisi dell’export verificatasi nello scorso anno deve indurre, infine, a riposizionare le strategie di promozione all’export incentivando maggiormente le azioni indirizzate a favorire le esportazioni di formaggio pecorino.
«Queste proposte di intervento – conclude Confagricoltura – vanno discusse al più presto all’interno del Tavolo di Filiera che deve vedere la partecipazione di tutte le componenti al fine di un completo coinvolgimento e di una reale condivisione delle strategie sugli obiettivi e sugli strumenti da adottare per una nuova politica a favore del comparto».