Il crollo del prezzo del latte ovicaprino coinvolge oltre la Sardegna anche gran parte del Centro Sud Italia. A manifestare versando latte in strada in segno di protesta adesso anche i pastori in Toscana, Marche, Lazio, Calabria e Sicilia. La situazione attuale non permette più agli allevatori del comparto ovicaprino di coprire i costi di produzione.
L’emergenza sarda sta infatti avendo forti ripercussioni nelle altre regioni dove il calo del prezzo ha raggiunto punte del 25%. L’Italia è attualmente il terzo produttore al mondo di latte ovino e in Sardegna ne viene prodotto più della metà, con 3 milioni di capi.
La rilevanza della regione nel comparto ovicaprino influisce su tutti gli altri territori e la crisi attuale ha determinato un profondo squilibrio su tutto il sistema. Le proteste stanno montando nel Lazio, in particolare nel viterbese dove molti allevatori sono proprio di origine sarda, fino ad arrivare al grossetano che negli ultimi 2 mesi ha visto scendere il prezzo del 10%, trascinato dal crollo del latte ovino sardo. C’è preoccupazione anche nelle Marche. I timori maggiori arrivano dalle aree terremotate, tra Macerata, Fermo e Ascoli, dove la crisi si aggiunge a condizioni di vita precarie con attività agricole e zootecniche ancora sistemate in moduli temporanei. Anche nel Sud la situazione è critica. In Sicilia centinaia di allevatori hanno imitato la protesta degli allevatori sardi e in Calabria sono annunciate manifestazioni per la prossima settimana, nelle due regioni il costo al litro è sceso a 60 centesimi rendendo impossibile la sostenibilità della produzione per i pastori. Il costo al litro che in tutti questi territori è richiesto agli industriali della trasformazione lattiero-casearia è di almeno un euro al litro.
Il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino, commenta: «Chiediamo la chiusura della trattativa che sta creando troppi danni al Paese mentre un accordo tonificherebbe tutto il mercato italiano. Siamo soddisfatti della disponibilità dichiarata dal governo e chiediamo che a questo punto anche gli industriali facciano la loro parte, venendo incontro alle richieste dei pastori. Noi crediamo si debba puntare alla diversificazione e alla caratterizzazione legata al territorio e che il pecorino sardo non sia solo prodotto da grattugia».