Il presidente di Federbio Paolo Carnemolla ha risposto in modo dettagliato allo studio svedese dedicato all’agricoltura biologica, più o meno inquinante di quella tradizionale per il clima. LEGGI La produzione biologica è più dannosa per il clima rispetto all’agricoltura intensiva? Sì, secondo una ricerca svedese
Un vecchio detto popolare così recita: “se mia nonna avesse avuto le ruote sarebbe stata una carriola”. Ovvero quasi tutto è teoricamente possibile ma non per questo è realtà, anche quando potrebbe apparire più verosimile che innestare un paio di ruote su di un’anziana parente. Questo è ciò che viene in mente, a chi di agricoltura e di agricoltura biologica ne capisce, leggendo l’articolo sulla sintesi dello studio internazionale condotto dalla Tecnological University di Chalmers in Svezia pubblicato dalla rivista Nature. Uno studio che ha messo a punto un nuovo metodo per valutare l’impatto climatico dell’uso del suolo confrontando l’agricoltura biologica e quella convenzionale, giungendo alla conclusione che il metodo biologico sarebbe assai più impattante sul clima in quanto per produrre la stessa quantità di cibo necessiterebbe di maggiore superficie di suolo coltivato. Questo perché, si presume, le rese per unità di superficie della coltivazione biologica sarebbero significativamente inferiori a quelle dell’agricoltura convenzionale. Dunque, per produrre il cibo necessario a una popolazione crescente si dovrebbero mettere a coltura molte più terre naturali, disboscando definitivamente il Pianeta. Una vera catastrofe che potrebbe essere innescata, secondo gli autori dello studio, dalla decisione del Governo svedese di convertire sempre più terreni al biologico in Svezia. Sì, secondo questi scienziati una maggiore conversione al biologico dell’agricoltura svedese comporterebbe in automatico la deforestazione dei Tropici.
La correlazione fra i due fenomeni non viene spiegata nella sintesi riportata nel vostro articolo e del resto è a dir poco bizzarra, forse l’aumento di consumo di prodotti biologici svedesi potrebbe comportare anche l’aumento della richiesta di prodotti biologici di importazione dai Tropici per quanto non si può coltivare in Svezia? Teorie che definire “discutibili” è persino gentile, del resto è evidente che gli autori dello studio hanno particolarmente a cuore i fertilizzanti chimici di sintesi e non hanno ben chiara la distinzione fra agricoltura biologica e biocarburanti, che vengono accomunati agli alimenti biologici, pur se con motivazioni assai più fondate e condivisibili, come potenziali disastri per il clima del Pianeta.
La deforestazione progressiva e i suoi impatti nefasti sul clima sono purtroppo una realtà ormai da tempo e sempre più grave ma, come tutti sanno, l’agricoltura che si pratica su questi terreni è quella convenzionale che usa chimica di sintesi, compresi i fertilizzanti e OGM per produrre le “commodities” che fanno ricco il commercio mondiale, distruggendo l’ambiente e impoverendo le popolazioni locali. In altri termini in questo momento sono i prodotti alimentari convenzionali che utilizzano olio di palma, derivati della soia e zucchero di canna a essere responsabili del cambiamento climatico, non l’agricoltura biologica. Soprattutto è a tutti noto che il vero problema a scala globale è l’impatto dell’allevamento animale convenzionale, collegato alla crescita progressiva del consumo di carne, considerato che la maggioranza della superficie agricola utilizzata a livello mondiale è destinata a sostenere e alimentare questa filiera, che consuma anche molta acqua ed emette notevoli quantità di gas serra. Insomma, consumare note creme spalmabili a base di nocciole e cioccolato, frequentare assiduamente fast food e ristoranti specializzati in carne e salumi mette sicuramente più a rischio il clima e minaccia più seriamente la sicurezza alimentare globale che coltivare un ettaro di cereali biologici in Svezia. La cui resa produttiva, certo, non sarà la migliore anche perché non è sicuramente il luogo ideale per ottenere produzioni agricole in quantità se non abbondantemente sostenute da mezzi tecnici o se non addirittura forzate in serra o fuori suolo.
I ricercatori svedesi si vantano di aver introdotto nella valutazione d’impatto dell’agricoltura biologica sul clima la differenza di rese produttive rispetto all’agricoltura convenzionale, in particolare quella che abbonda nell’uso di fertilizzanti chimici di sintesi. A fronte di questa affermazione, che non trova riscontro nella realtà visto che questa variabile è invece sempre stata considerata e che il centro di ricerca svizzero FIBL la sta monitorando da decenni, lavorando anche per la FAO, viene da pensare che i ricercatori svedesi non abbiano particolarmente compreso o approfondito i complessi meccanismi anzitutto agronomici che influenzano le rese produttive delle colture. Soprattutto in agricoltura biologica. Se l’avessero fatto si sarebbero resi conto che in un arco temporale adeguato, ovvero nel ciclo almeno di una rotazione non meno che quinquennale, prendendo in considerazione un terreno già convertito almeno da due cicli di rotazione a biologico e condotto correttamente con tale metodo, la differenza di resa media rispetto all’agricoltura convenzionale può ridursi di molto, se non annullarsi e in alcune condizioni essere anche superiore. Anche perché un terreno coltivato a metodo biologico è assai più resiliente agli effetti già oggi evidenti del cambiamento climatico, a cominciare dagli squilibri idrici, che stanno influendo sempre più pesantemente sulle rese delle colture. Esempi di questo sono le rese dei cereali nelle regioni del Sud Italia quando l’andamento stagionale penalizza i terreni condotti a agricoltura convenzionale poveri di sostanza organica e diserbati (rese equivalenti o superiori per il biologico), il pomodoro da industria se correttamente inserito nella rotazione e in terreni idonei (rese di poco inferiori a una coltivazione a agricoltura integrata se non equivalenti) e certamente l’agricoltura delle zone collinari e montane (rese equivalenti o superiori). In ogni caso è a tutti noto che uno dei modi per aumentare le rese in peso delle colture, in particolare orticole e frutticole, è la concimazione azotata di sintesi con conseguenti problematiche non solo di inquinamento delle falde e maggiore sensibilità della coltura agli attacchi dei patogeni, ma anche più acqua venduta ai consumatori allo stesso prezzo di un alimento. Scusate se l’agricoltura biologica non solo tutela l’ambiente vietando l’impiego di questi concimi e limitando l’apporti di azoto ai terreni anche fuori dalle zone soggette alla Direttiva nitrati ma è anche più onesta verso i consumatori, a cui si vende più “sostanza” alimentare che acqua.
La sostanza organica nel terreno, uno degli elementi che caratterizzano l’agricoltura biologica, oltre a essere l’elemento centrale per la nutrizione delle piante coltivate e della struttura del terreno, è un formidabile serbatoio di carbonio, che rende la coltivazione biologica assai utile per combattere il cambiamento climatico già in atto. È anche per questo che la conversione all’agricoltura biologica è incentivata a livello globale ormai da anni, senza che questo abbia mai avuto come conseguenza l’abbattimento anche di un solo ettaro di foresta tropicale. Anzi, proprio alla conversione all’agricoltura biologica si deve la ricomparsa anche nelle aree agricole più intensive e sfruttate di siepi e alberature così come di fasce tampone, elementi naturali indispensabili anche per quel ripristino dell’equilibrio agroecologico senza il quale non si può fare la vera agricoltura biologica così come normata anche dai regolamenti europei vigenti.
La pubblicazione sull’autorevole rivista Nature dello studio svedese testimonia certamente l’impegno e il rigore formale con il quale i ricercatori hanno lavorato per dimostrare la loro tesi e del resto si può essere rigorosi anche nel dimostrare che un paio di ruote potrebbero rendere più mobile la nonna di cui si è detto in apertura. Salvo poi scoprire che le vere carriole sono assai più funzionali e, soprattutto, reali. Del resto lo studio degli svedesi non mette a confronto l’agricoltura biologica e convenzionale su scala globale, ma considera solo un’area poco significativa. Come già accennato, pretendere di estendere le condizioni in cui si pratica l’agricoltura in Svezia a scala planetaria è quantomeno discutibile, anche perché è ben nota la differenza di rese fra biologico e convenzionale. E’ dunque consigliato a chiunque voglia approfondire questi argomenti lo studio cui hanno partecipato esperti della FAO, dell’istituto di ricerca svizzero FIBL e di diverse prestigiose università, pubblicato sempre da Nature a novembre 2017 che qui è disponibile: https://feder.bio/wp-content/uploads/2017/11/Strategies-for-feeding-the-world-more-sustainably-with-organic-agriculture.pdf