La cimice asiatica si sta confermando come una nuova piaga per l’agricoltura. In incremento in Romagna e riscontrata in tutte le zone produttive della regione, pur con una forte variabilità di presenza e di danno sia a livello territoriale, sia nelle singole aziende all’interno della medesima area. Insetto molto mobile, prolifico e che si nutre di diverse piante, sta causando seri danni alla frutticoltura e al vivaismo in particolare, ma non solo. Un insetto contro il quale, al momento, non esistono strategie di controllo efficaci: tutta la difesa fitosanitaria effettuata in impianti con forte presenza di cimici sta dando scarsi risultati.
In Romagna, la cimice asiatica in alcuni areali ha provocato danni ingenti nelle drupacee colpendo il 25-30% dei frutti.
I danni sul pero sono importanti e raggiungono in alcune aziende anche il 100% di frutti colpiti.
Molto numerosa la presenza della cimice asiatica anche su melo e actinidia (kiwi), con diversi frutti danneggiati, tolti in parte con i diradamenti. I danni aumenteranno sicuramente con la maturazione dei frutti.
A fronte delle pesanti ripercussioni che la presenza di questo insetto comporta sulle produzioni agricole, con conseguenze sulla loro disponibilità per i consumatori e sul reddito delle imprese, Cia-Agricoltori Italiani Romagna ha coinvolto il livello regionale e nazionale dell’Organizzazione per mettere a segno un’azione più incisiva.
Tale problematica non ha le caratteristiche per entrare nel Decreto emergenze e Cia-Agricoltori Italiani sta cercando delle soluzioni per farvi fronte.
Molta attenzione è dedicata anche alla discussione in corso sul nuovo Piano di azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (Pan). Il Piano italiano è già fra i più restrittivi. Cia-Agricoltori Italiani condivide il principio della sostenibilità ambientale, del quale è anche sostenitrice, ma ribadisce la necessità di stare attenti a non incorrere in limitazioni derivanti da prese di posizione ideologiche più che da studi scientifici.
Fra i tanti obiettivi, occorre migliorare la reciprocità delle regole e finalizzare un’armonizzazione reale fra Stati membri europei; nei rapporti coi Paesi terzi rafforzare il sistema di prevenzione con il controllo dei rischi non sostenibili di determinati prodotti d’importazione; adottare strategie efficaci se c’è il rischio concreto di ingresso di nuove fitopatologie. È necessario intensificare la frequenza e l’entità dei controlli, investire nella formazione degli ispettori fitosanitari e nella ricerca.
Sul versante emiliano della nostra regione, per quanto riguarda il ciliegio, sono stati verificati danni da cimice asiatica intorno al 10%, contro uno storico dell’1%.
Per le pomacee biologiche non protette da reti il danno valutato ad oggi è tra il 30% e l’80%: questa forbice è molto ampia proprio per via delle singole situazioni aziendali e per la dislocazione delle aziende sul territorio. Le pomacee convenzionali registrano un danno tra il 10% e il 40% con situazioni diverse all’interno del territorio. Per il pesco convenzionale il danno è intorno al 30-40%.
Anche la soia subisce la numerosa presenza della cimice asiatica: questo preoccupa fortemente in quanto è presumibile che alla raccolta della soia l’insetto possa migrare nei campi di pomacee a raccolta più tardiva con incrementi dei danni sui frutti.
La presenza dell’insetto è in aumento anche in Veneto e in Trentino. La cimice asiatica si trova in compagnia di oltre un migliaio di specie aliene presenti in Italia, non tutte diffuse nel territorio e solo alcune, fortunatamente, provocano danni all’agricoltura, ma la situazione è molto pesante.
CONFAGRICOLTURA ROVIGO – I frutticoltori polesani stanno pensando seriamente di estirpare pereti, meleti, piantagioni di kiwi, di pesche, di nettarine. Sono esasperati dai danni della cimice asiatica, si sentono impotenti di fronte alla distruzione delle loro coltivazioni e la mancanza di strumenti validi per debellare l’attacco dell’insetto li pone per forza di fronte a una strada a senso unico.
Confagricoltura ha incontrato nei giorni scorsi l’assessore regionale all’Agricoltura Giuseppe Pan per evidenziargli la situazione nelle colture della bassa pianura veneta in modo particolare su mele, pere, kiwi e pesche, con una stima dei danni di milioni di euro. Rispetto agli anni precedenti, il fenomeno nel 2019 ha visto un aumento della gravità, con perdite di prodotto sempre più consistenti.
“Siamo molto preoccupati per l’aggravarsi del problema”: Stefano Casalini, presidente di Confagricoltura Rovigo, con il direttore Massimo Chiarelli ha incontrato l’assessore in un tavolo di confronto. “Constatiamo l’inefficacia dei trattamenti che i nostri frutticoltori stanno effettuando, l’utilizzo della rete anti insetto non è ancora diffuso e comunque non è una soluzione radicale. Ritengo che i fitofarmaci attualmente ammessi debbano essere rivisti da parte del Servizio fitosanitario regionale, considerando la cimice come un flagello da debellare nel minor tempo possibile”.
La provincia di Rovigo ha un posto importante a livello veneto nella produzione frutticola: sono 401 gli ettari a melo, 211 a kiwi, ma di particolare importanza anche a livello nazionale è la presenza di aziende produttrici di pere: sono circa 250 per un totale di 1.009 ettari e una produzione complessiva di 261.234 quintali (dati 2017). I frutticoltori stimano una perdita di reddito medio dal 40% al 100% del raccolto con un danno di circa 8.000 euro a ettaro. In alcuni casi si aggiungono anche i danni da alternaria, un genere di fungo che provoca marcescenza del frutto.
Le misure finora previste dalla Regione hanno una proiezione di risoluzione del problema di lungo periodo: un progetto di ricerca affidato all’Università di Padova ipotizza l’introduzione della vespa samurai, insetto antagonista della cimice asiatica, con prove di laboratorio sugli effetti degli insetticidi e attività sperimentali per misurare l’introduzione di insetti antagonisti, e si stanno studiando metodi efficaci di copertura dei frutteti con reti anti cimice attraverso uno specifico bando con fondi per l’acquisto delle reti, coprendo tutti i relativi costi da sostenere con maggiori risorse, magari pescando da quelle previste nel piano di sviluppo rurale veneto.
“Ma oggi tutte queste buone intenzioni della Regione – osserva Casalini – non sono più sufficienti. È necessario che Regione e Ministero trovino, in questa fase di assestamento di bilancio, risorse dirette per indennizzare le aziende colpite. Recuperare un indennizzo all’interno del de minimis che potrebbe attestarsi intorno al 40% del danno subito – circa 3.000 euro per ettaro – rappresenta un parziale ristoro all’agricoltore che altrimenti, senza un futuro certo, potrebbe valutare l’estirpo del frutteto”. E conclude: “Solo la produzione di pere in provincia di Rovigo produce un reddito lordo di circa 16 milioni di euro”.