«La situazione del settore suinicolo è molto preoccupante: senza adeguamenti dei prezzi finali è a rischio la nostra filiera» afferma Nicola Levoni Presidente di ASSICA, Associazione Industriali delle Carni e dei Salumi, aderente a Confindustria.
Questo grido di allarme arriva dopo un lungo periodo in cui si è assistito ad un forte rincaro della carne suina dovuta principalmente al forte aumento della domanda in Cina a seguito della rapida diffusione della peste suina africana (PSA), malattia che colpisce esclusivamente i suini e non ha alcuna implicazione per l’uomo ma la cui diffusione può essere fermata unicamente con l’abbattimento dei capi infetti. Per capire la proporzione del danno, basti pensare che in Cina sono presenti 440 milioni di maiali e che questa epidemia ne ha decimato oltre il 20%. Un danno quindi ingente e non paragonabile a nessuna altra situazione verificatasi precedentemente.
In un mercato come quello europeo, caratterizzato da consumi deboli (le prime stime della Commissione parlano di un -1,4% nel 2019) e da una produzione di carne suina stabile è difficile immaginare dinamiche dei prezzi più favorevoli almeno fino al 2020, quando la produzione di carni suine dovrebbe tornare a crescere, compensando almeno in parte la maggiore domanda estera.
In un quadro come quello che si va delineando, caratterizzato da prezzi della materia prima persistentemente elevati e da consumi interni deboli è indubbio che a soffrire saranno soprattutto Paesi caratterizzati da una più spiccata vocazione per la trasformazione. È questo il caso dell’Italia.
«Per l’industria di trasformazione, infatti, il costo della materia prima – spiega Levoni – rappresenta in genere circa il 50% e in alcuni casi il 75% del costo totale di produzione. Incrementi come quelli che si stanno registrando, +40% da marzo a oggi, rischiano, se non riconosciuti, di mandare in tilt il sistema. L’industria manifatturiera appare in questo momento compressa fra i prezzi alti della materia prima e le richieste di contenimento dei prezzi di vendita per sostenere i consumi. Queste condizioni mettono seriamente a rischio non solo l’eccellenza qualitativa delle nostre produzioni di salumeria, ma la continuità stessa delle produzioni e la stabilità produttiva dei salumifici e in ultima istanza dell’intera filiera di produzione.
Le dinamiche in corso suggeriscono la necessità di procedere urgentemente ad un confronto con tutte le componenti della filiera – dall’allevatore al consumatore – affinché venga preservata la qualità di un patrimonio ricco di cultura, tradizioni e storia come quello rappresentato dalla grande varietà dei salumi italiani» ha concluso Levoni.