Attributi positivi, difetti, panel test, denominazioni geografiche, indicazioni olivicolturali, patologie dell’olivo, tipi di frantoio, normativa e ovviamente le prove di esame: si è tenuto nei giorni scorsi a Roma, nella sede dell’UMAO – Unione Mediterranea Assaggiatori Oli, il corso di idoneità fisiologica all’assaggio dell’olio extravergine di oliva, organizzato appositamente per una delegazione di aspiranti assaggiatori intervenuti per l’occasione dal Giappone.
L’olio extravergine di oliva è infatti uno dei prodotti di punta del made in Italy e, imponendosi sempre di più nel segmento food, è pertanto oggetto di sofisticazioni per via del grande richiamo che esercita sia in patria che all’estero, in un mercato mondiale con una domanda difficilmente coperta dall’offerta e sul quale oltretutto a discapito dell’Italia incide l’italian sounding.
Secondo l’Agrifood Monitor di Nomisma, il Giappone rappresenta il quinto mercato al mondo per import di prodotti agroalimentari. Con una popolazione doppia e un pil pro-capite superiore del 10% al nostro, è un mercato di grande interesse per l’export italiano di food & beverage, purtroppo ancora limitato all’1,5% degli oltre 57 miliardi di euro di beni agroalimentari importati nel 2018. Rispetto dieci anni fa si è però passati da un valore degli acquisti dall’Italia di 537 milioni di euro a ben 865, crescendo di oltre il 50%: valori destinati ad aumentare anche grazie all’accordo tra Unione Europea e Giappone, entrato in vigore nel febbraio scorso.
Nel paese del Sol Levante l’olio evo è molto ricercato e si stanno formando nuove professionalità: si sta quindi facendo avanti il desiderio di conoscere un prodotto già ampiamente apprezzato ma che potrebbe ancora espandersi molto.
Spiega Paola Fioravanti, presidente UMAO e relatrice principale del corso, coadiuvata da un team di tecnici e dal capo panel Gianfranco De Felice, esperto del COI – Consiglio Oleicolo Internazionale: «In Giappone sono molto attenti riguardo il made in Italy agroalimentare: oltre l’indiscussa capacità attrattiva di tutto ciò che proviene dall’Italia, il consumatore giapponese chiede soprattutto qualità, fortemente spinto dal desiderio di prodotti salutari per i quali è più disposto a spendere, facendo comunque attenzione al fattore prezzo che è ancora piuttosto elevato nel caso dell’olio extravergine, essendo un acquisto di nicchia che spesso viene fatto in particolari occasioni o come dono».
Nel rapporto Nomisma è emerso che, sebbene il Giappone pesi solo per il 2% sull’export agroalimentare italiano, la sua rilevanza è fondamentale soprattutto in relazione all’olio d’oliva, settore nel quale il paese nipponico incide per il 7% sull’export, arrivando al 17% nel caso di olio proveniente dal Sud Italia.
Perché affrontare un viaggio tanto lungo? I motivi sono svariati ma il principale è l’importanza di apprendere in Italia da chi ha sempre lavorato nel settore. Tra i partecipanti, c’è chi è già assaggiatore e vuole rinnovare la preparazione, chi intende crearsi un futuro da consulente in patria, chi è importatore o grossista e ha bisogno di conoscere nel dettaglio le eccellenze italiane e infine chi desidera portare avanti un’azienda agricola: è infatti ancora quasi sconosciuta la produzione olivicola giapponese, che si concentra principalmente a Shōdoshima (isola di Shodo, nella prefettura di Kagawa), situata nel mare interno di Seto e quindi favorita per posizione e clima, in Giappone spesso piovoso e con necessità di accorgimenti a contrastare le relative patologie.
«La formazione nell’ambito delle eccellenze alimentari italiane è importantissima -aggiunge Paola Fioravanti -, non solo per non incorrere in truffe ma anche per poter imparare a scegliere prodotti di qualità. L’analisi sensoriale ha delle regole precise che, se ben applicate, comportano la valutazione oggettiva dell’olio soggetto ad analisi e che trova nel panel test la sua massima espressione. Non è sufficiente che un olio abbia parametri chimici oggettivi ma deve essere assaggiato, così come indicato dal COI e regolamentato dalla Comunità Europea che introdusse il panel test quale elemento di classificazione degli oli vergini di oliva già dal 1991 con il Regolamento CEE n° 2568 e s.m.”. E conclude: “È per noi motivo di orgoglio che vengano da tanto lontano proprio per i corsi UMAO, riconoscendo all’associazione ed allo staff docente competenza e professionalità. Valore aggiunto è inoltre il fatto che le nostre sono classi ristrette e questo va a favore del confronto diretto in aula e dei legami interpersonali che qui si creano».