Un duro colpo i dazi Usa all’agroalimentare italiano, e le conseguenze si vedranno nei prossimi mesi. Ma è necessario guardare oltre. Senza dimenticare che esportiamo verso gli Stati Uniti per 4.101 milioni di euro (nel 2018) con un incremento del 4,1% rispetto al 2017 e del +9,5% rispetto al 2016. Nel paese a stelle e strisce (sempre nel 2018) siamo il secondo paese importatore di vino per un valore di 1.681, 4 milioni di euro (5.255,8 a livello mondiale); siamo il primo importatore di olio d’oliva per 462,3 milioni di euro (1.280 totale valore export); siamo il primo importatore di formaggio per 274.9 m/€ (1.083 totale) davanti alla Francia, ed anche i primi importatori di paste alimentari e acque minerali, ma esportiamo in Usa con ottimi volumi di affari, anche prodotti da forno, carni lavorate e persino prodotti a base di cacao.
Il mercato USA è importante insomma per l’Italia, non solo per i volumi che realizza ma anche per l’impatto promozionale che riesce a fare sui prodotti a livello internazionale.
Ne abbiamo parlato con Mauro Rosati, direttore generale della Fondazione Qualivita – soggetto sensibile alla difesa e alla diffusione della cultura rurale, la sua priorità, da sempre, è quella di valorizzare, tramite le proprie attività, il settore agroalimentare di qualità e quindi le produzioni DOP, IGP e STG.
Rosati, dazi Usa quali danni possono provocare? «La mia preoccupazione non è legata solo al danno economico commerciale per la mancata vendita dei prodotti causa costi in rialzo. A me preoccupa molto di più il danno che subiamo per gli investimenti fatti negli ultimi anni di natura promozionale e logistica sui mercati. Penso ai tanti investimenti di natura privata e pubblica che tante aziende hanno fatto per potersi permettere di stare su quei mercati. Investimenti che ad oggi non sono stati del tutto ripagati ma che avevano una prospettiva di mercato molto più lunga. Basti pensare che un’azienda – in base al Protocollo di Madrid sui marchi internazionali – per tutelare il proprio marchio in 100 paesi, spende circa 35mila euro a cui vanno aggiunti altri costi per i vari rinnovi dell’accordo».
Ed il fenomeno dell’italian sounding? «In un mercato evoluto come quello degli Usa, il pericolo di aumento del fenomeno dell’italian sounding è concreto, con il rischio che falsi Made in Italy passino come prodotti italiani generici a costi minori per i consumatori americani. Per cui è necessaria una tutela maggiore e questa può essere sostenuta dallo stesso governo italiano e dall’Europa».
Cosa è possibile fare in questo contesto? «Oltre alle misure straordinarie che la Ue dovrà adottare di supporto per le perdite che subiranno le imprese, credo che possiamo anche ragionare in chiave nazionale. Nel DEF viene espressamente evidenziato che la tutela delle DOP e IGP è una priorità del Governo quindi sarebbe logico costruire una misura da hoc per sostenere consorzi ed imprese che vogliono continuare ad investire nella tutela delle indicazioni geografiche.
Costituire un fondo con il metodo dei contributi o del credito di imposta. In che modo? Attraverso il sostegno per opposizione sui marchi, il sostegno per la registrazione dei marchi, il sostegno per i contenziosi legali, ed i costi per monitoraggi sui mercati».