L’agricoltura biologica come soluzione ai problemi di sicurezza alimentare globale?
Ciò detto occorre però dire con chiarezza che il biologico non può in alcun modo costituire una soluzione strutturale ai problemi di sicurezza alimentare globale in virtù della rinuncia a molte delle innovazioni tecnologiche che oggi consentono di alimentare la popolazione mondiale enormemente meglio di quanto si sia mai fatto in passato, rinuncia che relega le rese per ettaro del biologico a livelli pre-industriali (dal 20 al 70% in meno a seconda delle colture). Il biologico si dimostra infatti del tutto sordo al fatto che da un secolo a questa parte le innovazioni tecnologiche hanno profondamente modificato il nostro modo di fare agricoltura mirando nello specifico a meglio sfruttare le risorse (radiative, termiche, idriche e nutrizionali) contenendo al contempo le perdite produttive dovute alle limitazioni termiche, idriche e nutrizionali e alle avversità biotiche (parassiti, patogeni, malerbe) e abiotiche (siccità, ondate di caldo e di freddo, vento forte, eccesso idrico, ecc.). Per ottenere ciò si sono selezionate varietà vegetali molto più produttive di quelle del passato e in grado di contenere gli effetti negativi delle avversità (es: mais in grado di vegetare a temperature più basse, frumenti a taglia bassa in grado di resistere ai danni da vento, ecc.). Peraltro l’innovazione genetica è stata assecondata da tecniche colturali adeguate a valorizzare le nuove varietà, ad esempio soddisfacendo le esigenze azotate delle colture grazie ai concimi di sintesi prodotti attingendo all’illimitato serbatoio atmosferico di azoto o combattendo parassiti, patogeni e malerbe con mezzi chimici, fisici e biologici.
A fronte di tutto ciò cosa propone il biologico? Il ritorno a varietà vegetali “antiche” con potenziali produttivi risibili, il rifiuto dei concimi di sintesi e la limitazione dei fitofarmaci a prodotti naturali (ma non per questo privi di impatti sull’ambiente e sull’uomo, come mostrano le norme precauzionali presenti nelle loro etichette) come azidiractina, spinosad (e piretro o a prodotti chiaramente artificiali ma con una “patina antica” come lo zolfo ottenuto per desolforazione dei combustibili fossili o i prodotti a base di rame sintetizzati dall’industria chimica (e anche qui invitiamo a considerare le norme precauzionali riportate sulle relative etichette).
Giusto una notazione tecnica per provare ad uscire dal mondo delle favole. Lo Spinosad è un insetticida autorizzato per l’uso in agricoltura biologica. Le frasi di rischio del prodotto (qui) dicono: Altamente tossico per gli organismi acquatici e la dose letale che uccide in 50% delle api con cui entra in contatto è di 0,05 microgrammi per singola ape da miele. Detto in altri termini, un singolo grammo di Spinosad potrebbe uccidere per contatto 10 milioni di api. Ma le ammazza in maniera biologica!!!
Le summenzionate bassissime rese ettariali del biologico fanno sì che se tutta l’agricoltura mondiale adottasse tale metodo di produzione si sarebbe costretti grossomodo a raddoppiare le terre coltivate, sottraendole a foreste e praterie e infliggendo dunque danni enormi agli ecosistemi naturali, il che attesta l’insostenibilità ambientale del biologico.
Sempre dalle bassissime rese deriva che i costi di produzione per unità di prodotto in biologico siano assai più elevanti che nell’agricoltura convenzionale e si scaricano di regola sul consumatore. Già oggi infatti, nonostante un regime di aiuti pubblici che privilegia le aziende biologiche (il 45% del reddito netto delle aziende bio deriva da contributi pubblici contro il 31% di chi pratica l’assai più sostenibile agricoltura integrata – fonte: Bioreport 2017-18 pag. 24), il prezzo al consumo dei prodotti biologici è doppio o triplo rispetto a quello degli analoghi prodotti convenzionali, il che attesta l’insostenibilità economica e sociale dal lato consumatore.
In ragione di tali palesi elementi di insostenibilità riteniamo che la diffusione indiscriminata della tecnologia del biologico sia lesiva dell’interesse nazionale e dell’umanità nel suo complesso e in ragione di ciò non possiamo che dirci contrari al DDL 988 che per l’Italia mira a un tale obiettivo.
La dottoressa Belpoggi sostiene anche che “La sicurezza alimentare non è solo una questione di capacità di produrre cibo, ma soprattutto di rendere accessibile il cibo. La produzione di cibo globale è più che sufficiente per alimentare la popolazione del globo, il problema è quello di farlo pervenire a coloro che ne hanno bisogno”. A tal riguardo occorre dire che 900 milioni di persone sono oggi al di sotto della soglia di sicurezza alimentare, il che è senza dubbio un minimo storico (il 10% delle popolazione mondiale contro il 35% del 1970) ma è in ogni caso una cifra insopportabile. Ciò imporrebbe di evitare a ogni costo politiche demagogiche e fondate sull’idea che “tanto di cibo ce n’è a sufficienza”. Se infatti i grandi produttori mondiali di cereali (Usa, Francia, Australia, Canada, ecc.) dovessero decidere di virare decisamente verso il biologico le loro esportazioni crollerebbero determinando sensibili incrementi di prezzo sul mercato mondiale, con conseguenze nefaste per i paesi in via di sviluppo che da tale mercato dipendono per i loro approvvigionamenti. Il caso dell’impennata dei prezzi con conseguente crisi alimentare che sfociò nelle “primavere arabe” del 2011 è molto istruttivo in proposito.
Concimi di sintesi e fitofarmaci: un gravissimo errore di prospettiva L‘articolo della Belpoggi cita anzitutto il dato di 396,5 kg di fitofarmaci e concimi di sintesi usati in media ogni anno su un ettaro da chi pratica l’agricoltura convenzionale. Anzitutto serietà vorrebbe che si scorporasse il dato sui fitofarmaci da quello sui concimi di sintesi, in quanto questi ultimi sono molecole nella gran parte dei casi indistinguibili da quelle di origine naturale e si utilizzano per restituire le quote di nutrienti che le colture asportano dal terreno realizzando i prodotti agricoli. Ma a ben vedere gli stessi agricoltori biologici mirano a restituire quanto asportato e lo fanno concimando con sostanza organica (letame, liquame, pollina, scarti di macellazione, ecc.) proveniente in gran parte dalla zootecnia convenzionale e dunque da animali alimentati con foraggi e concentrati ottenuti da colture concimate con concimi di sintesi. La domanda che ci facciamo e che la dottoressa Belpoggi dovrebbe anche lei porsi è in nome di cosa il biologico possa accettare questa “doppia morale”. Inoltre come si fa a chiamarlo un sistema “olistico” se tale sistema non sopravvive senza le farine animali ottenute dagli scarti di macellazione da zootecnia intensiva, quindi da una zootecnia dove (dati Assalzoo) l’87% di tutti i mangimi commercializzati in Italia contiene mangimi OGM. Si dovrebbe anzi notare che il biologico non può fare a meno degli alimenti OGM.
- EFSA e non EChA è responsabile del parere tecnico-scientifico sulla base del quale gli stati membri dell’Unione Europea autorizzano i principi attivi mentre i singoli Stati registrano il prodotti commerciali;
- i valutatori nazionali e internazionali hanno accesso ai dati analitici dei principi attivi (con relative impurezze) e alla composizione dei formulati commerciale e sulla base di queste valutazioni è non raramente negata la registrazione per la vendita del prodotto commerciale;
- gli studi che i produttori devono obbligatoriamente condurre e presentare, compresi tutti i dati grezzi e non solo i dati sintetici che si usano presentare nella letteratura scientifica, comprendono:
- dosi più alte di quelle alle quali l’uomo è o sarà potenzialmente esposto
- studi di riproduzione, tossicità in gravidanza e tossicità negli animali giovani
- studio di tutti gli organi colpiti da eventuali effetti sul sistema endocrino
- I principi attivi sono valutati anche per gli effetti tossicologici e sul destino ambientale con criteri stringenti per cui ad esempio, principi attivi persistenti nell’ambiente non sono autorizzati oppure strettamente regolamentati come accade ad esempio per il rame, tanto utilizzato soprattutto in agricoltura biologica
-
gli studi fin qui condotti in USA e in alcuni stati membri dell’Unione Europea sull’esposizione combinata a residui (volgarmente detto “effetto cocktail”) non hanno evidenziato alcun rischio
- è falso affermare che FAO e OMS riconoscono che il “sistema regolamentatorio internazionale non ci garantisce la sicurezza dei prodotti destinati all’agricoltura tradizionale”, altrimenti non si capirebbe perché ogni anno il Joint FAO/WHO Meeting on Pesticide Residues proponga ADI (acceptable Daily Intake) e ARfD (acute reference dose) per 10-15 principi attivi e insieme a questi centinaia di MRL (Maximum Residue Levels) per le derrate
- certamente, “la relazione fra i pesticidi e la salute umana è stata ampiamente indagata”, ma quello che si è trovato è che – a parte le esposizioni acute, accidentali o più frequentemente a scopo suicida – non sono stati riscontrati effetti certi, in luogo dei quali si colgono solo segnalazioni epidemiologiche incoerenti e non confortate da plausibilità biologica
- è senza fondamento la conclusione secondo cui vi sarebbe un eccesso di
mortalità nei lavoratori agricoli e nei residenti in campagna in generale - stupisce che si affermi che le molecole agiscono a dosi infinitesimali, introducendo così il concetto di tossicologia omeopatica, mentre, sembrerebbe, a dosi maggiori non sarebbero efficaci, per ritornare efficaci a dosi ancora maggiori
- le “esposizioni a bassissime dosi”, che sono senza effetto, lo sarebbero anche se tutta la popolazione mondiale vi fosse esposta
Sorvoliamo sull’autodefinizione di “scienziata responsabile” e sull’invocazione dell’autorevolezza di non citate università per confermare le sue affermazioni: come se l’autorità fosse essa stessa fonte di verità, fatto questo già contestato da San Tommaso d’Aquino.
Riguardo poi allo studio sui formulati di glifosate eseguito dall’Istituto Ramazzini, stupisce innanzitutto il fatto che si trovi che il glifosate si accumula nell’organismo, quando è noto che è scarsamente assorbito e rapidamente eliminato tal quale (per massima parte) per via urinaria. Già il fatto che il composto sia eliminato tal qual dovrebbe far sospettare al tossicologo “astute”, come direbbero i colleghi anglosassoni, che si tratta di una molecola con modesta se non assente attività biologica. Non a caso, si tratta di un aminoacido fosfonato che ha un bersaglio specifico nei vegetali. Inoltre, viste le passate esperienze dell’Istituto che ha avuto alcuni suoi studi contestati sia da EPA che da EFSA, sarebbe bene che, come fanno le ditte che eseguono gli studi, si pubblicasse anche il protocollo sperimentale e tutti i dati grezzi relativi allo studi eseguiti. In assenza di ciò risulta arduo esprimere un giudizio sui risultati presentati.
Riguardo infine alla “battaglia contro il cancro”, sia ben chiaro che questa non si vince certamente combattendo e impiegando risorse anche economiche, su agenti che, se anche avessero un ruolo, avrebbero un peso del tutto trascurabile rispetto al fumo di tabacco, all’alcool, ad alcune infezioni, all’obesità e alla vita sedentaria, fattori che, anche combinati fra loro, rendono ragione della maggior parte delle neoplasie, come riconosciuto da tutti gli esperti di sanità pubblica.Quali conclusioni Alla luce di quanto sopra esposto riterremmo più che mai opportuno che l’Istituto Ramazzini presentasse i dati da cui trae conclusioni che, per le conoscenze attuali, non hanno alcun fondamento scientifico. Evitasse informazioni false. Adottasse il metodo scientifico per analizzare questioni che sono di vitale importanza, tenendo conto che esse toccano le esigenze del consumatore in termini di sicurezza alimentare e salubrità dei prodotti. Non ci pare infatti che le campagne allarmistiche fondate sul preconcetto secondo cui dosi omeopatiche di fitofarmaci sarebbero dannose per la salute umana possano risultare utili a qualcuno se non a procurare allarme che si traduce in minori consumi di frutta e verdura che sono ottimi presidi alimentari anti-cancro. Ci parrebbe inoltre utile che l’istituto orientasse le proprie indagini anche verso i presidi fitosanitari utilizzati in agricoltura biologica ed in particolare verso il rame il quale associa una significativa tossicità per tutti gli organismi viventi oltre a dubbi di cancerogenicità.
Roberto Defez (CNR Napoli)
Dario Frisio (UniMi)
Luigi Mariani (Società agraria di Lombardia e Università degli Studi di Milano)
Angelo Moretto (UniMi)