Le inefficienze della filiera dell’uva da tavola stanno mettendo in crisi un comparto strategico per l’agricoltura italiana, danneggiano esclusivamente agricoltori e consumatori. La campagna 2019 si sta rivelando molto complessa nelle principali regioni produttrici del Paese, Puglia e Sicilia (rappresentano il 90% dei 46mila ettari coltivati) e rischia di compromettersi ulteriormente nei prossimi giorni.
Le aziende lamentano una remunerazione che non copre i costi di produzione e si attesta sui 0,60 centesimi al chilogrammo per le varietà tradizionali e sugli 0,80/1,10 per quelle senza semi. L’uva da tavola ha come canale unico di sbocco gli scaffali della Grande Distribuzione Organizzata, dove arriva con un ricarico vertiginoso, attestandosi in media sui 3,50 euro che in taluni casi possono diventare 6. Vale a dire, fino a 10 volte di più di quando riconosciuto all’azienda agricola, che lavora sottocosto e senza un giusto compenso rischia il collasso. Molto spesso i produttori sono costretti a lasciare sulle piante i prodotti del loro lavoro.
A complicare i problemi che depauperano la redditività della nostra viticoltura, c’è il calo strutturale dei consumi di uva da tavola. Gli ultimi dati Ismea relativi al periodo luglio 2018 – giugno 2019 indicano una contrazione della spesa del 9%. Cia-Agricoltori Italiani ritiene, dunque, indispensabile riprendere il dialogo con la Gdo per neutralizzare le troppe speculazioni e impedire le inefficienze lungo la filiera, che pesano solo su produttori e consumatori.
Cia-Agricoltori Italiani ritiene anche necessario sostenere e stimolare il consumo di prodotto italiano e chiede al Ministro Teresa Bellanova di dare maggior vigore alla campagna di promozione istituzionale per l’uva da tavola nei punti vendita, promossa da Ortofrutta Italia.
Per Cia è anche essenziale investire più sforzi e risorse sull’export, dove l’Italia gioca da protagonista ed è quinta nel mondo, con spedizioni per circa 700 milioni di euro (preceduta dagli Usa). I mercati di sbocco principali sono i Paesi dell’Unione europea che assorbono in media al 90% delle esportazioni complessive, ma la concorrenza è altissima: dalla Turchia al Brasile, Perù, Cile e Sudafrica. Occorre, pertanto, un impegno istituzionale forte per aprirsi a nuovi mercati su un prodotto strategico per l’agricoltura italiana, anche su destinazioni come la Cina.