Un vaccino per debellare il mal dell’esca. Il Centro di ricerca Crea di Conegliano Veneto sta sperimentando alcune molecole che potrebbero essere in grado di rendere immuni le viti dal flagello viticolo, che causa una moria delle piante fino al 30% nel corso della loro esistenza produttiva, con danni per la viticoltura della nostra provincia che ammontano a centinaia di migliaia di euro. La notizia è emersa ieri nel convegno promosso da Confagricoltura Verona dal titolo “Mal dell’esca: è sempre più flagello viticolo – stato dell’arte e possibili soluzioni”, che si è svolto nella Cantina Valpolicella di Negrar, con il contributo di Banco Bpm e partner tecnici i Vivai cooperativi Rauscedo con la Cantina Valpolicella di Negrar.
“Siamo sperimentando nei nostri vivai di Conegliano alcune molecole che potrebbero essere usate come una sorta di vaccino per la vite non solo in difesa dal mal dell’esca, ma anche dalla peronospera e dallo oidio – ha spiegato il ricercatore Walter Chitarra -. Eseguiremo una serie di test e poi, se i risultati saranno positivi, faremo delle prove sul campo. Serviranno almeno due anni di studi, che però, se dovessero andare a buon fine, sortiranno il primo vaccino contro quello che è un vero e proprio tumore della pianta, dato che difficilmente le lascia scampo”.
Un problema antico, è stato ripetuto nel corso del convegno, che oggi è tornato a farsi sentire in maniera molto più forte e prepotente sia a causa dei cambiamenti climatici, in seguito all’utilizzo degli impianti a guyot, che si sono fortemente diffusi in Valpolicella. Il convegno, moderato da Giannantonio Armentano dell’Informatore Agrario, è stato aperto da Paolo Ferrarese, presidente di Confagricoltura Verona, da Leonardo Rigo, responsabile della direzione territoriale di Verona e Nordest del Banco Bpm, e da Renzo Bighignoli, presidente della Cantina Valpolicella Negrar.
“Il mal dell’esca è una malattia antica”, ha detto Paolo Ferrarese, presidente di Confagricoltura Verona, “che però oggi sta attaccando anche le vigne giovani e con particolare virulenza. Perciò le ricerche scientifiche ci stanno aiutando a trovare soluzioni che potrebbero mettere ko questo nemico secolare”. Christian Marchesini, presidente dei viticoltori di Confagricoltura Verona e Veneto, ha sottolineato che “quest’anno ci siamo trovati tra fine luglio e agosto con danni importanti, che non ci aspettavamo. In Valpolicella abbiamo assistito a un incremento del mal dell’esca, legato anche a un cambiamento della viticoltura. Trent’anni fa i vigneti erano fatti essenzialmente da Corvinone e Rondinella. C’era pochissima Corvina, che è molto sensibile alla patologia. Inoltre, negli anni Sessanta, siamo passati da un impianto a pergola al guyot, forma di allevamento che è pure più attaccabile. Anche la riduzione degli spazi di coltivazione non ha aiutato. Temo che per un po’ dovremo convivere con questa piaga, ma possiamo ridurre i danni e avere vigneti più longevi cercando di applicare delle pratiche colturali che puntino soprattutto sulla prevenzione, curando al massimo i vigneti”.
Michele Borgo, del Crea-vit di Conegliano, ha invitato i viticoltori a tornare al vecchio sistema a pergola, soffermandosi poi anche su altre criticità del sistema vigneto nell’epidemia del mal d’esca: stress delle piante, eccesso di concimazioni e di ferite causate dalle potature, decadimento dovuto ad altre malattie. Inoltre alcuni vitigni, come è risultato da uno studio, sono molto più attaccabili. Nelle uve bianche i più a rischio sono il Sauvignon bianco, il Riesling Renano, il Manzoni bianco; nelle rosse lo sono la Dindarella, il Primitiva, il Cabernet, la Corvina. Un problema di viti ma anche di terreno, ha aggiunto Walter Chitarra, perché è nel suolo che si sviluppano i funghi patogeni. Bisogna quindi lavorare su prospettive biostimolanti, utilizzando sia sostanze attive biologiche come microrganismi, che vadano a rinforzare la pianta, sia su tecniche chirurgiche “da dentista”, come ha spiegato Leone Braggio di Uva Sapiens, che tolgano la carie e consentano una sopravvivenza più lunga delle piante malate. Una soluzione, come ha spiegato Martina Mazzasette di Vintec, arriva da un prodotto a base di tricodherma, prodotto estratto dal legno, frutto di una ricerca con la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, ma anche da tecniche come l’endoterapia, presentata da Marco Bassani di Endofruit, che iniettano nella pianta un prodotto che aumenta le difese.