di Luigi Mariani pubblicato su Agrarian Sciences
Il prezioso ruolo ecologico dell’anidride carbonica, un tassello chiave per affrontare con successo la sfida dell’intensificazione della produzione agraria in vista del 2050.
Il carbonio (elemento chimico di peso atomico 12,01) è un componente fondamentale della materia vivente e, come tutti gli elementi che di questa fanno parte, subisce una serie di trasformazioni cicliche, passando continuamente dal mondo minerale a quello degli esseri viventi e viceversa. Nella sostanza organica il carbonio costituisce in media il 45% del peso secco e proviene direttamente o indirettamente dall’anidride carbonica atmosferica (CO2).
Gli organismi fotoautotrofi (piante verdi, alghe, alcuni batteri), attraverso la reazione di fotosintesi alimentata dell’energia solare, sintetizzano una molecola di glucosio (C6H12O6) a partire da sei molecole di CO2 atmosferica e sei molecole di acqua (H2O). Il glucosio a sua volta alimenta la vasta gamma di biosintesi che conducono ai composti organici utilizzati da piante e animali (organismi eterotrofi) sia per creare loro strutture caratteristiche (cellule, tessuti, ecc.), sia per sostenere il loro metabolismo (Enciclopedia Treccani, 1999). Il passaggio del carbonio dal mondo organico a quello inorganico avviene attraverso la respirazione, processo inverso rispetto alla fotosintesi.
D’altro canto la CO2 è responsabile di circa il 20% dell’effetto serra del pianeta mentre il 51% di questo stesso effetto è dato dal vapore acqueo e il 24% da nuvole (Lacis al. 2010). In proposito si deve rammentare che l’effetto serra è il presupposto fondamentale per la vita sul nostro pianeta poiché senza questo fenomeno benefico la temperatura media globale della Terra, attualmente pari a + 15 °C, scenderebbe ai gelidi -20 °C, con l’immediata estinzione della gran parte delle specie viventi.
In ragione di quanto sopra la CO2 può essere considerata il mattone fondamentale della vita sul nostro pianeta e pertanto l’opera di demonizzazione operata da decenni nei suoi confronti dai media e dalla stessa comunità scientifica (Thompson et al., 2014) è sconcertante sul piano scientifico ed antropologicamente.
Anidride carbonica e clima – Negli ultimi due secoli abbiamo assistito ad un graduale aumento dei livelli atmosferici di CO2, passati dalle 280 ppmv (parti per milione in volume) del 1750 alle odierne 400 ppmv. Tale aumento è causato in primis dalle attività umane (combustione di combustibili fossili, ecc.) ed è amplificato dall’aumento dell’attività dell’ecosistema che consegue all’aumento delle temperature che si è in contemporanea registrato e che è stimato in +0.78°C nel periodo compreso fra il cinquantennio 1851-1900 ed il decennio 2003-2012 (IPCC, 2014).
Confesso di non essere più di tanto preoccupato per gli effetti negativi sul clima della progressiva crescita di CO2 in atmosfera in quanto il sistema climatico presenta svariate “valvole di sicurezza” in grado di mantenere le temperature globali all’interno di certi limiti. L’azione di tali valvole di sicurezza, il cui meccanismo è tuttora scarsamente noto, si evidenzia osservando la figura 1, in cui si illustra l’andamento dei livelli atmosferici di CO2 e delle temperature globali dell’aria in superficie.
Si osservi in particolare che la temperatura globale ha mostrato un trend decrescente fino al 1976 (circa -0,2 °C su tutto il periodo). Poi, dal 1977 al 1998, la tendenza si è invertita con una crescita complessiva di 0,6 °C. Il mainstream scientifico attribuisce questo aumento all’effetto della CO2 di origine antropica, amplificato dall’aumento del vapore acqueo atmosferico proveniente principalmente dalla evaporazione degli oceani (IPCC, 2014). D’altra parte, l’aumento della temperatura dell’aria avrebbe dovuto dar luogo a un ulteriore richiamo di vapore acqueo dagli oceani[1] che a sua volta avrebbe dovuto produrre un ulteriore aumento della temperatura dell’aria e così via, innescando in tal modo un effetto serra incontrollato (runaway greenhouse effect). Tuttavia questo scenario oltremodo negativo non si è verificato e dopo l’anno più caldo (1998), il vapore acqueo atmosferico in eccesso è stato semplicemente espulso dall’atmosfera sotto forma di pioggia, dando il via a una fase di temperature globali stabili che ancora oggi persiste.
L’agricoltura come sistema per il governo del ciclo del carbonio
In ogni caso, anche se si considera l’aumento di CO2 atmosferica come un fattore climaticamente negativo, una risposta razionale al fenomeno consiste nel rafforzare il ruolo dell’agricoltura come sistema per il governo del ciclo del carbonio (Burney et al., 2010). E’ infatti noto che l’aumento di CO2 rispetto alla fase pre-industriale ha finora portato ad un aumento del 20-40% della produzione agricola mondiale annua (Sage e Coleman, 2001; Araus et al, 2003), più che mai vantaggioso in termini di sicurezza alimentare globale. Inoltre ogni anno, durante l’estate boreale, si assiste ad un decremento di circa 6 ppmv nella concentrazione atmosferica di CO2 (figura 2) il che costituisce la prova lampante dell’efficacia della vegetazione nella regolazione del segmento atmosferico del ciclo del carbonio.
Questi fatti dimostrano che il ricorso all’agricoltura per stabilizzare i livelli atmosferici di CO2 è una prospettiva concreta. In tal senso occorre rammentare che la vegetazione terrestre assorbe ogni anno circa 198 Giga tonnellate di CO₂ e che di queste circa 1/3 sono già oggi assorbite dai vegetali coltivati (DeLucia et al., 2014).
La prospettiva di utilizzare le colture per stabilizzare i livelli atmosferici di CO2 può concretizzarsi solo se si sarà in grado di ottenere un sostanziale incremento della produttività delle colture. Le tecnologie fondamentali per giungere a ciò sono il miglioramento genetico delle colture (OGM inclusi) ed il progresso nelle agrotecniche (lavorazione del suolo, fertilizzazione, protezione delle piante, irrigazione, ecc.).
Il notevole aumento della produttività delle colture è fondamentale al fine di:
- soddisfare le future esigenze di cibo di una popolazione mondiale che nel 2050 raggiungerà i 9,5 miliardi di individui
- utilizzare i polimeri di origine vegetale in luogo degli idrocarburi (carbone, petrolio, gas naturale e similari) per alimentare le filiere energetiche, delle materie plastiche e di tutti quei prodotti che sono oggi essenziali per la vita umana.
In sostanza quel che si prospetta è un futuro verde nel pieno senso della parola, e non quello pieno di pannelli solari e di pale eoliche oggi perorato e finanziato da una pletora di organizzazioni nazionali ed internazionali. Si osservi che in un tale contesto il sequestro di carbonio nel suolo è chiamato a svolgere un ruolo positivo ma secondario, perché i microrganismi aerobici che operano sulla materia organica del suolo non sono solo responsabili del rilascio di CO2 in atmosfera (Reinau, 1927) ma anche del rilascio di macro e micronutrienti essenziali per la nutrizione delle piante e la fertilità del suolo. Quindi la strategia più redditizia potrebbe rivelarsi non tanto quella di rallentare il ciclo del carbonio nel suolo quanto quella di intercettare le emissioni di CO2 del terreno con colture ben sviluppate e che coprano in modo omogeneo il suolo, favorendo al contempo un’adeguata protezione dal rischio erosivo ed un’ottimale infiltrazione delle acque meteoriche a vantaggio della coltura successiva (Love et al., 2012).
Agricolture biologiche ed intensificazione – La politica d’intensificazione dell’agricoltura è oggi promossa dalla stessa FAO (2011), consapevole del progressivo aumento della popolazione mondiale. Da questo punto di vista le “agricolture biologiche”[2] (biologico e biodinamico) possono tutt’al più costituire una soluzione per singoli agricoltori che operano su mercati di nicchia ma non appaiono in alcun modo in grado di affrontare i problemi globali della sicurezza alimentare. Più specificamente le recenti review di una consistente mole di lavori della letteratura scientifica internazionale portate a termine da De Ponti et al. (2012) e Seufuret et al. (2012) hanno concluso che le rese dell’agricoltura biologica sono mediamente pari all’’80% ed il 75% di quella convenzionale, anche se perdite produttive più sostanziali sono segnalate nei sistemi agricoli intensivi (Cavigelli et al., 2008). Tale divario produttivo è strutturalmente correlato agli obsoleti principi ispiratori delle agricolture biologiche ed è pertanto destinato ad aggravarsi in futuro a seguito dell’auspicato aumento delle performance dell’agricoltura convenzionale. Occorre infatti considerare che:
- L’agricoltura biologica è la riproposizione dei paradigmi dell’agricoltura del XVIII secolo e cioè dell’agricoltura che precede la rivoluzione chimica del XIX secolo. Quest’ultima ha avuto il grande merito di fornire la base scientifica per la rivoluzione verde del XX secolo che ha disinnescato la bomba malthusiana riuscendo a moltiplicare per sei la produzione delle principali colture a fronte del quadruplicamento della popolazione mondiale.
- L’agricoltura biodinamica associa alle tecniche agricole obsolete proprie dell’agricoltura biologica il ricorso ad un substrato culturale magico – astrologico già criticato nel I secolo d.C. da Lucio Moderato Columella nell’undicesimo libro del suo De re rustica e del tutto incompatibile con un approccio alla produzione agricola posto su basi scientifiche. In tal senso mi limito ad osservare che l’idea che gli influssi astrali possano offrire alle piante i nutrienti necessari, viola in modo palese la legge di conservazione della materia (legge di Lavoisier).
Obiezioni rispetto all’intensificazione – A chi obiettasse che si è già raggiunto il limite massimo di produttività delle piante coltivate e che le produzioni in futuro non potranno che calare, segnalo il lavoro di DeLucia et al. (2014) in cui, in base a dati desunti da letteratura scientifica recente e corroborati da un approccio basato su modelli di produzione, si evidenzia che il limite massimo di produttività delle piante coltivate si colloca a circa 200 t/ha annue contro le 18-20 delle migliori varietà di mais coltivate alle medie latitudini in assenza di limitazioni idriche e nutrizionali. Tali dati riecheggiano in modo sorprendente l’incipit del De re rustica, in cui Columella, rivolgendosi a Publio Silvino, si diceva fieramente contrario all’opinione, espressa da molti illustri cittadini romani, secondo cui la terra avrebbe ormai esaurito la sua fertilità. Per tale ragione Columella utilizzò tutto il suo trattato per descrivere le tecniche necessarie per garantire livelli produttivi elevati in quantità e qualità. Oggi, dall’alto delle nostre 5-6 t/ha di produzione media ettariale annua di granella di frumento tenero (ISMEA, 2012), ben superiori alle medie produttive dell’epoca imperiale romana (meno di 1 t/ha) sappiamo che Columella aveva ragione e sono convinto che i prossimi anni daranno ragione alle tesi favorevoli all’intensificazione.
[1] la quantità massima di vapore acqueo che può essere contenuto in un dato volume d’aria raddoppia per ogni 10° C d’aumento della temperatura
[2] Metto il nome fra virgolette perché trattasi di una definizione quantomeno impropria. Ciò in quanto l’agricoltura nel suo complesso è attività biologica per eccellenza. Più corretto sarebbe dunque parlare di “agricolture organiche”, come avviene nel contesto anglosassone.
Bibliografia
Araus et al., 2003. Productivity in prehistoric agriculture: physiological models for the quantification of cereal yields as an alternative to traditional Approaches, Journal of Archaeological Science 30, 681–693
Burney J.A., Davis S.J., Lobell D.B. 2010. Greenhouse gas mitigation by agricultural intensification, Proceedings of the National Academy of Sciences, 107, 12052-12057.
Cavigelli M.A., Teasdale J.R., Conklin A.E., 2008. Long-Term Agronomic Performance of Organic and Conventional Field Crops in the Mid-Atlantic Region, Agronomy Journal, Vol. 100, Issue 3, 785-794.
DeLucia E.H., Gomez-Canovas N., Greenberg J.A., Hudiburg T.W. et al., 2014. The theoretical limit to plant productivity, Environ. Sci. Technol., 214, 48, 9471-9477.
De Ponti et al., 2012. The crop yield gap between organic and conventional agriculture. Agricultural systems 108, 1-9.
Enciclopedia Treccani, 1999– voce Carbonio (http://www.treccani.it/enciclopedia/carbonio_%28Universo_del_Corpo%29/).
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IPCC, 2014. AR5, Summary for policymakers (http://www.climatechange2013.org/images/report/WG1AR5_SPM_FINAL.pdf)
ISMEA, 2012. Stime 2012 degli investimenti e delle produzioni dei principali cereali in Italia (http://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/7250)
Lacis A.A., Schmidt G.A., Rind D., Ruedy R.A., 2010. Atmospheric CO2: Principal Control Knob Governing Earth’s, Science 330, 356-359.
Love J., Dillard J., Brock K., Dourte D., Fraisse C., 2012. Agricultural Management Options for Climate Variability and Change: High-Residue Cover Crops, University of Florida Extension, http://edis.ifas.ufl.edu/pdffiles/AE/AE48800.pdf
Reinau, E. Praktischen Kohlensäuredüngung in Gärtnerei und Landwirtschaft. Springer, Berlin 1927.
Sage R.F., Coleman J.R., 2001. Effects of low atmospheric CO2 on plants: more than a thing of the past, TRENDS in Plant Science Vol.6 No.1 January 2001.
Seufert, V., Ramankutty N., Foley J.A., 2012. Comparing the yields of organic and conventional Agriculture, Nature, 485, 10 May 2012, 229-234.
Thompson T.M., Rausch S., Saari R.K., Selin N.E., 2014. A systems approach to evaluating the air quality co-benefits of US carbon policies, Nature Climate Change, doi:10.1038/nclimate2342.
Luigi Mariani Docente di Agrometeorologia all’Università degli Studi di Milano. E’ stato Presidente dell’Associazione Italiana di Agrometeorologia, costituita per promuovere questa materia nei settori dell’insegnamento, della ricerca e dei servizi.
Interessi di ricerca:
climatologia applicata, agrometeorologia, micrometeorologia, modelli di simulazione di colture, analisi vocazionali, previsioni meteo per l’agricoltura.