In Italia si contano oltre 320mila tra ristoranti bar, take away, gelaterie e pasticcerie. Un mercato del fuori casa, terzo in Europa per valore, che ha avuto nel 2018 un volume di affari pari 84 miliardi di euro.
Nel paese, ogni anno, si sprecano 5,6 milioni di tonnellate di cibo e più della metà di queste eccedenze, il 57%, si produce nelle prima parte della filiera, tra produttori, distributori e ristorazione. Indagare lo spreco alimentare in questo settore così significativo è stato l’obiettivo della ricerca condotta da Istituto Green Bocconi per conto di METRO Italia e presentata alla Camera dei Deputati in occasione della sigla del protocollo d’intesa tra Metro Italia, fondazione Banco Alimentare e Istituto Management Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. E’ necessario, sostengono, “definire un percorso comune volto a promuovere la cultura della lotta allo spreco alimentare nel mondo della ristorazione in Italia”.
Ecco allora il vademecum del ristoratore fine ultimo, per ora, del protocollo d’intesa che vuole avviare un tavolo di studio per individuare quali siano le buone pratiche da seguire per diminuire lo spreco nella ristorazione, arrivando a redigere così adeguate linee guida.
“Entro l’estate -ha annunciato Metro Italia- verrà pubblicato il vademecum del ristoratore sostenibile, un manuale che conterrà indicazioni utili per ridurre gli scarti e informare sulle opportunità offerte dalla legge 166/2016”. Sarà distribuito ai professionisti dell’Horeca (Hostellerie, Restaurant, Caffè, Catering) in tutta Italia e sarà promosso attraverso iniziative di sensibilizzazione.
Stando all’indagine, un terzo dei ristoratori intervistati in tutta Italia, ha sviluppato iniziative per ridurre gli sprechi all’interno del locale, e tra le iniziative più diffuse, ci sono processi di minimizzazione degli scarti in cucina, attrezzature per la migliore conservazione dei cibi, ottimizzazione degli acquisti, revisione del menù in ottica antispreco, possibilità di scelta per il cliente di porzioni alternative e ridotte, doggy bag e cibo da asporto. Nel caso della doggy bag, si rilevano ancora resistenze alla diffusione di questo strumento, da parte dei ristoratori e dei clienti. Ad esempio, facendo eccezione per le Regioni del Nord-ovest dove se ne registra un ampio utilizzo, nel resto d’Italia sono poco richieste con diverse motivazioni: cibo non gradito (68%), imbarazzo (55%), poca praticità (67%). Di certo la stragrande maggioranza dei consumatori (92%) vorrebbe che le eccedenze delle cucine fossero donate a persone che ne hanno bisogno (92%). Ma, secondo la ricerca, si dona ancora troppo poco non sfruttando pienamente la legge Gadda, la cosiddetta legge ‘antispreco’.
Inoltre, secondo i risultati emersi dalla ricerca si stima che nei ristoranti italiani si gettino tra i 3 e i 5 sacchi a settimana di rifiuti organici, uno spreco percepito dai ristoratori – nell’84% dei casi – come un costo e/o una perdita, e che secondo l’89% dei consumatori finali incide negativamente sul conto presentato a fine pasto.
Lo spreco si combatte in tutte le fasi della filiera alimentare. La ristorazione ha un ruolo importante, ottimizzando i processi e donando le eccedenze per solidarietà sociale, e coinvolgendo i cittadini nella prevenzione e nelle buone pratiche.
LA LEGGE ANTISPRECO
La Legge 166 cosiddetta “antisprechi” è entrata in vigore il 14 settembre del 2016. Nasce con l’obiettivo di limitare gli sprechi, promuovendo nel contempo la redistribuzione delle eccedenze alimentari e farmaceutiche per fini di solidarietà sociale destinandoli a chi ne ha più bisogno.
Dal 2018 viene ampliato il paniere dei beni donabili che beneficiano delle agevolazioni fiscali e delle disposizioni introdotte: oltre agli alimenti e ai farmaci, possono essere donati articoli di medicazione, i prodotti per la cura e l’igiene della persona e della casa e quelli di cartoleria e cancelleria. Estese inoltre le agevolazioni fiscali alle donazioni a favore di tutti gli enti del Terzo Settore che si iscriveranno nel Registro unico nazionale, incluse cooperative e imprese sociali. La donazione non si considera “cessione” ai fini fiscali e dunque non genera ricavi, consentendo, quindi all’impresa di dedurre tutti i costi ai fini Iva, le operazioni sono equiparate a quelle di distruzione dei beni: nessuna imposta sulle merci in uscita, mentre è riconosciuta la detrazione dell’Iva assolta a monte. I numeri confermano, con un incremento medio del 25% delle donazioni, che la strada della semplificazione burocratica e delle agevolazioni fiscali è il modo giusto di procedere.
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