Dopo l’annus horribilis 2019, con le produzioni che sono precipitate (fino al -85%), anche l’annata in corso non promette bene a causa di un inverno mite che farebbe presupporre una primavera fredda. Intanto aumentano le importazioni dall’estero di prodotti dalla dubbia qualità. A sottolinearlo con un approfondimento nel numero di febbraio di Dimensione Agricoltura (scaricabile al link https://www.ciatoscana.eu/home/pollice-verde-e-uscito-dimensione-agricoltura-di-febbraio-2020/) è la Cia Agricoltori Italiani della Toscana, che analizza il delicato momento del settore.
In Toscana gli apicoltori censiti sono 5.800, con 100mila alveari presenti in anagrafe, equamente ripartiti tra stanziali e nomadi; il 65% sono produttori in autoconsumo e detengono il 15% degli alveari, mentre il restante 35% gestisce a fini produttivi l’85% del totale delle colonie.
«Oltre ad annate che possono essere climaticamente negative e con poca produzione, come l’ultima – commenta Luca Brunelli, presidente Cia Agricoltori Italiani della Toscana -, il settore deve fare i conti con la concorrenza del prodotto estero che merita molta attenzione non solo nei confronti degli agricoltori produttori di miele ma anche verso i consumatori. E’ necessario avere regole più attente a tutela del reddito e della competitività delle aziende, partendo dalla definizione di miele fra Europa e Cina».
Annata 2020, le premesse sono negative – «Le previsioni per l’annata 2020 non sono per niente positive – sottolinea Franco Masotti, presidente Gie Apicoltura della Cia Toscana – con un andamento climatico con un inverno con temperature superiori alla media, farebbe prevedere una stagione come quella passata quando il freddo è arrivato ad aprile e maggio, danneggiando irreparabilmente la fioritura di piante ed alberi. Lo scorso anno la produzione non c’è praticamente stata in Toscana ed in Italia, dobbiamo sperare che nonostante un inverno caldo il grande freddo non venga a primavera inoltrata». Con il freddo in primavera, inoltre, le api non escono dalle arnie e gli apicoltori devono intervenire per nutrirle, con un forte aumento dei costi di produzione, in particolare per chi fa nomadismo visto che deve aggiungere i costi del gasolio. «Minore produzione (di miele, ma anche propoli, pappa reale) significa apicoltori che smettono l’attività – aggiunge Masotti –, e quindi meno api, perché senza gli apicoltori non ci sarebbero nemmeno le api. C’è bisogno che la politica a livello europeo faccia un passo in avanti, qualcosa si è mosso (stop ad alcuni neonicotinoidi) ma serve di più»
Mercato, concorrenza insostenibile – E poi gli apicoltori devono fare i conti con un prodotto a importazione, con cui è impossibile competere sul fronte dei prezzi: troviamo negli scaffali della Gdo vasetti di miele da mezzo chilo a 1,29 euro, mentre un prezzo remunerativo per la stessa quantità di miele prodotto in Italia è di almeno 5 euro per il millefiori e da 6 euro per il monofloreale. Fra i problemi principali i costi di produzione che sono molto alti (la prima voce è il personale) superiori di 5 volte rispetto ai paesi extra UE. Quindi oltre a valutare il prezzo del prodotto finale, (che dovrebbe essere maggiore di almeno 5 volte), bisognerebbe analizzare la qualità del miele che arriva da fuori nei nostri scaffali. Il miele importato viene prodotto con regole diverse e questo il consumatore lo deve sapere».