Il mondo delle scienze agrarie, rappresentato dall’Associazione delle 22 Società Scientifiche Agrarie (AISSA), che racchiude più di 2000 professori e ricercatori universitari e centinaia di ricercatori del CNR, del CREA e di altri istituti pubblici e privati, si sta interrogando sulle criticità emerse nel sistema agroalimentare italiano come conseguenza della pandemia causata dal COVID-19 e su quali misure potrebbero essere messe in atto per affrontare le sfide che lo attendono nel prossimo futuro.
Specialmente in questo momento di emergenza per il Paese e per l’umanità intera, la comunità scientifica deve svolgere rigorosamente il proprio ruolo nei diversi settori di competenza. E’ quindi fonte di preoccupazione quanto riportato dallo studio condotto dal laboratorio CULTLAB della Scuola di Agraria dell’Università di Firenze in collaborazione con la segreteria scientifica dell’Osservatorio Nazionale del Paesaggio Rurale (LEGGI Coronavirus. L’agricoltura tradizionale come modello per ripartire. Studio Università Firenze: più contagi dove sono presenti sistemi intensivi ), che “…mette in relazione il numero di casi di Coronavirus registrati sul territorio nazionale e i modelli di agricoltura presenti nelle varie zone del Paese, evidenziando una maggiore incidenza del virus, da 4.150 fino a 8.676 casi, nelle zone agricole periurbane e ad agricoltura intensiva, in particolare nelle aree della Pianura Padana, del fronte adriatico dell’Emilia Romagna, della valle dell’Arno tra Firenze e Pisa, e nelle zone intorno a Roma e Napoli, dove si registra un più alto livello di meccanizzazione, impiego della chimica e agroindustria e maggiori interrelazioni con urbanizzazione e inquinamento…”. Da ciò che è stato reso pubblico sul sito, ripreso poi da altri canali di comunicazione, lo studio implicitamente suggerisce nelle conclusioni un rapporto ‘causa-effetto’ tra il livello di intensificazione dell’agricoltura e la diffusione del virus.
Il consiglio di Presidenza di AISSA, pur non entrando nello specifico dello studio che riguarda la diffusione del virus, dove AISSA non è evidentemente competente, non può non sottolineare le criticità legate ad aspetti metodologici della ricerca. Dal testo diffuso, gli Autori si sono basati su correlazioni, un approccio statistico che non permettere di trarre conclusioni sulle probabilità di un rapporto tra una causa (il livello di intensificazione dell’agricoltura) ed un effetto (la diffusione del virus). E’ palese, infatti, che le diverse aree
del Paese prese in considerazione differiscono per densità di popolazione, grado di industrializzazione, livello di traffico stradale, livello di cementificazione, qualità dell’aria e molti altri fattori che possono aver favorito la diffusione del contagio.
AISSA ha già preso posizione sul tema relativo all’intensificazione in agricoltura e ne ha sottolineato il ruolo strategico per lo sviluppo del settore primario nazionale (https://www.aissa.it/associazione.php), a condizione che essa venga condotta con criteri di sostenibilità. Al tempo stesso, AISSA ritiene, ed in questo concorda con lo studio sopra riportato, che andrebbero intraprese maggiori iniziative a supporto dell’agricoltura delle zone marginali interne del Paese. In considerazione della grande varietà di ambienti
colturali e di contesti socio-economici presenti dove l’agricoltura si realizza, è fisiologica la convivenza in Italia di sistemi agro-industriali a diverso livello di intensificazione, tutti accomunati dagli stessi principi di sostenibilità e di fiducia nel progresso scientifico e tecnologico.