“I primi giorni di lockdown i social media proponevano foto di supermercati svuotati di tutto tranne che di penne lisce. Poi i cittadini hanno compreso che non si sarebbero verificate carenze di generi alimentari. Questo grazie alla decisione immediata di non fermare i contoterzisti”. Nei giorni scorsi si è svolto il Consiglio UNCAI, un necessario momento di confronto e analisi di quanto sta ancora accadendo che ha visti collegati tramite internet il presidente Aproniano Tassinari, il vice Clevio Demicheli, i consiglieri Sergio Bambagiotti, Giuliano Chioetto, Beppe Delsignore, Giuliano Oldani, Massimo Silvestro e Roberto Tamburini, i direttori Fabrizio Canesi e Roberto Scozzoli e il revisore Francesco La Gamba.
Se il governo ha subito detto con chiarezza che i contoterzisti dovevano proseguire il loro lavoro nei campi, offrendo garanzie a tutta la filiera agroalimentare fino al consumatore, ci sono state realtà agricole che sostenevano che gli agromeccanici non potevano lavorare. “Non si sa con certezza a che pro, almeno per ora”, è stato detto durante il consiglio che chiede al Governo e alla Ministra Bellanova “una netta presa di posizione in favore di chi porta professionalità, responsabilità e tracciabilità nel settore”.
Migliaia di imprese agromeccaniche si sono rapidamente adeguate alla nuova realtà, prendendo spontaneamente decisioni per garantire la prosecuzione del lavoro in condizioni di sicurezza. “Il Governo con saggezza ci ha lasciati lavorare e ha permesso che i nostri trattori e operatori oltrepassassero i confini tra comuni e regioni, salvando così numerose piccole e medie aziende agricole che sarebbero fallite senza il nostro intervento”.
Senza i contoterzisti l’agricoltura italiana sarebbe uscita forse a pezzi da 3 mesi di lockdown, facendo la fine delle mascherine a 50 centesimi. Introvabili. “L’agricoltura sarebbe diventata affare di Stato o di pochi con ancora più vincoli, controlli, giudici e gendarmi, con le conseguenze tipiche di ogni monopolio: in nome di un insostenibile prezzo calmierato si sarebbe prima abdicato alla qualità quale unità di misura del lavoro e del prodotto italiano (proprio come le mascherine non a norma distribuite dalla Protezione civile), poi si sarebbe optato per il razionamento del prodotto. Questo avrebbe favorito la nascita di un mercato parallelo fatto di prodotti sostitutivi non sicuri ma a prezzi superiori, fino alla scomparsa della stessa agricoltura italiana, con conseguente disoccupazione e rabbia sociale”. E saremmo piombati nel più plumbeo comunismo o turbo capitalismo in salsa cinese.
“Neppure covid-19 poteva mettere in quarantena l’imprenditorialità agromeccanica e con essa la volontà di investire in tecnologia, ambiente, sicurezza e soprattutto in lavoro responsabile e professionale. La sfida ora è proseguire questo percorso con il sostegno e il riconoscimento di istituzioni e cittadinanza”, è stato ribadito dal Consiglio.