Da una settimana, con la riapertura di bar e ristoranti, sono ripartiti gli ordinativi per il settore vitivinicolo, ma la sensazione degli imprenditori agricoli è che i consumi siano parecchio sottotono. Manca infatti all’appello tutto il settore turistico dall’estero che in questo periodo affollava città d’arte come Venezia e Verona, ma anche Vicenza e Padova e poi il lago di Garda, le città murate, il Delta del Po, i piccoli borghi e le località balneari. E parecchi ristoranti non hanno riaperto. Perciò c’è il timore che molto vino resterà in cantina.
Spiega Lodovico Giustiniani, presidente di Confagricoltura Veneto: “I distributori si stanno iniziando a muovere, ma la ripartenza è molto lenta. Alcuni ristoranti non hanno riaperto, altri fanno i conti con le misure del distanziamento sociale che riducono i posti. Inoltre anche da parte dei clienti c’è ancora un certo timore nel riprendere la vita di prima. Qualcosina si sta muovendo, ma la ripresa sarà immediata. Capiremo nel giro di un mese se il turismo locale riuscirà a sopperire alla mancanza degli stranieri. Se le intenzioni, come sembra, sono quelle di fare le vacanze in Veneto, anche le attività turistiche potrebbero riprendere quota e a cascata pure il mondo vitivinicolo veneto”.
“Siamo in grande difficoltà – sottolinea Christian Marchesini, presidente dei vitivinicoltori di Confagricoltura Veneto -. La ripartenza sarà molto lenta per tutti e quindi, oltre ad aver perso un 30 per cento delle vendite, relativo ai tre mesi di lockdown, abbiamo la certezza che una grande quantità di prodotto avanzato, vedi i vini d’annata e pronti da bere, non potrà più essere smaltita. Ci servono quindi misure urgenti per permetterci di avere liquidità e ridurre i costi di produzione. Chiediamo, innanzitutto, di abbassare il limite di produzione dei vini da tavola portandoli a 300 quintali per ettaro e senza deroghe. Crediamo molto anche nella distillazione di crisi, dando priorità ai vini dop e igp, che permetterebbe ai produttori di vendere il vino non di pregio ai distillatori per la conversione in alcol. Le cifre che ci hanno proposto, vale a dire 20 euro a ettogrado, sono però troppo basse per sostenere il mercato, così come i 400 euro a ettaro per la vendemmia verde, che andrebbero raddoppiati. Siamo comunque favorevoli a sostenere le iniziative consortili volte alla riduzione delle rese, ma sempre con priorità ai vini dop”.
Marchesini si augura comunque che il canale Horeca riprenda pian piano quota: “Vediamo tanta voglia di ricominciare, ma comprendiamo le difficoltà dei ristoratori e di tutti gli operatori del settore alle prese con tutte le normative legate all’emergenza Covid. A loro va la nostra massima solidarietà, con l’augurio che presto si possa tornare alla normalità, il che significherebbe ossigeno anche per le nostre aziende. Le vendite nella grande distribuzione, che stanno andando bene, hanno ridotto il danno, ma solo in parte. Alcune aziende hanno tenuto, altre sono rimaste bloccate totalmente. Il vino venduto sugli scaffali è infatti di fascia medio bassa e quindi tutta la produzione di livello maggiore, destinata a occasioni conviviali, non ha avuto sbocchi. Anche la vendita diretta in cantina è stata sbloccata da poco, il che significa un altro 20 per cento perduto. Molte aziende hanno implementato le piattaforme per la vendita online, ma sono processi che per funzionare richiedono mesi. Nel frattempo le aziende si ritroveranno con grandi problemi finanziari perché, oltre ai mancati introiti, ci saranno anche molti crediti inesigibili a causa della chiusura o della crisi di ristoranti e hotel”.