Nella sua sentenza Alianța pentru combaterea abuzurilor (C-88/19), pronunciata l’11 giugno 2020, la Corte si è espressa sull’ambito di applicazione territoriale del regime di rigorosa tutela di talune specie animali previsto dall’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 92/43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche [1] (in prosieguo: la «direttiva “habitat”»). A tale riguardo, la Corte ha confermato che tale regime di rigorosa tutela previsto per le specie elencate all’allegato IV, punto a), della citata direttiva, come il lupo, si applica anche a esemplari che lasciano il loro habitat naturale e si ritrovano in zone popolate dall’uomo.
Nel 2016, il personale di un’associazione per la protezione degli animali, accompagnato da una veterinaria, ha proceduto alla cattura e al trasporto, senza previa autorizzazione, di un lupo che frequentava il luogo di abitazione di un residente in un villaggio rumeno situato tra due grandi siti protetti in forza della direttiva «habitat». Il trasporto del lupo catturato verso una riserva naturale non si è però svolto come previsto e il lupo è riuscito a fuggire nei boschi della zona. È stata presentata una denuncia penale per reati connessi alla cattura e al trasporto di un lupo in condizioni inappropriate. Nell’ambito di tale procedimento penale, il giudice del rinvio si chiede se le disposizioni di tutela contenute nella direttiva «habitat» siano applicabili alla cattura di lupi selvatici nella periferia di un agglomerato urbano o nel territorio di un ente locale.
La Corte ha ricordato, innanzitutto, che l’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva «habitat» obbliga gli Stati membri ad adottare i provvedimenti necessari atti ad istituire un regime di rigorosa tutela delle specie animali protette, «nella loro area di ripartizione naturale», con il divieto di qualsiasi forma di cattura o di uccisione deliberata di esemplari di tali specie «nell’ambiente naturale».
Per quanto attiene all’ambito di applicazione territoriale di questo divieto di cattura o di uccisione deliberata, la Corte ha rilevato che, per quanto riguarda le specie animali protette le quali, come il lupo, occupano vasti territori, la nozione di «area di ripartizione naturale» è più ampia dello spazio geografico che presenta gli elementi fisici o biologici essenziali per la loro vita e la loro riproduzione e corrisponde quindi allo spazio geografico in cui la specie animale in questione è presente o si diffonde secondo il suo comportamento naturale. Ne deriva che la tutela prevista dall’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva «habitat» non presenta limiti o frontiere, cosicché un esemplare selvatico di una specie animale protetta che si trovi in prossimità o all’interno di zone popolate dall’uomo, che transiti attraverso tali zone o che si nutra delle risorse prodotte dall’uomo, non può essere considerato un animale che ha lasciato la sua «area di ripartizione naturale». Tale interpretazione è corroborata dalla definizione figurante all’articolo 1, paragrafo 1, lettera f), della Convenzione sulla conservazione delle specie migratrici della fauna selvatica [2], secondo la quale la nozione di «area di distribuzione» di una specie ingloba le zone di qualsiasi natura che tale specie attraversa.
Pertanto, secondo la Corte, la formulazione dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva «habitat», che vieta la cattura o l’uccisione deliberata di esemplari delle specie protette «nell’ambiente naturale», non consente di escludere le zone popolate dall’uomo dall’ambito di tutela di tale disposizione. L’impiego dei termini «nell’ambiente naturale» è inteso solo a precisare che i divieti istituiti da detta disposizione non necessariamente si applicano agli esemplari oggetto di una forma legale di cattività.
L’interpretazione secondo cui la protezione prevista all’articolo 12, paragrafo 1, lettera a), della direttiva «habitat» non presenta né limiti né frontiere rigidi consente inoltre di raggiungere l’obbiettivo perseguito dalla citata disposizione. Si tratta, in effetti, di proteggere le specie interessate non solo in determinati luoghi, definiti in modo restrittivo, ma anche gli esemplari di queste ultime che vivono nell’ambiente naturale o in stato selvatico e che adempiono così una funzione negli ecosistemi naturali. A questo riguardo la Corte ha altresì rilevato che, in numerose regioni dell’Unione, come quella del caso di specie, i lupi vivono in zone occupate dall’uomo, e che l’antropizzazione di tali spazi ha anche implicato un adattamento parziale dei lupi a queste nuove condizioni. Inoltre, lo sviluppo delle infrastrutture, lo sfruttamento illegale delle foreste, le aziende agricole e talune attività industriali contribuiscono a esercitare una pressione sulla popolazione di lupi e sul suo habitat.
Di conseguenza, la Corte ha concluso che l’obbligo di tutelare rigorosamente le specie animali protette si applica all’intera «area di ripartizione naturale» di tali specie, a prescindere dal fatto esse si trovino nel loro habitat abituale, in aree protette o in prossimità di insediamenti umani.
Per quanto riguarda situazioni che possono insorgere quando un esemplare di una specie animale protetta entra in contatto con l’uomo o con i suoi beni, in particolare i conflitti risultanti dall’occupazione degli spazi naturali da parte dell’uomo, la Corte ha poi ricordato che è compito degli Stati membri adottare un quadro normativo completo, il quale può comprendere, conformemente all’articolo 16, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva «habitat», misure destinate a prevenire danni gravi, segnatamente, alle colture o all’allevamento, o misure adottate nell’interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica.
La Corte ha quindi confermato che la cattura e il trasporto di un esemplare di una specie animale protetta, come il lupo, possono essere effettuati solo nel contesto di una deroga adottata dall’autorità nazionale competente ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 1, lettere b) e c), della direttiva «habitat», fondata, in particolare, su un motivo di sicurezza pubblica.
IMPORTANTE Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.
[1] Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche (GU 1992, L 206, pag. 7).
[2] Convenzione sulla conservazione delle specie migratrici della fauna selvatica, firmata a Bonn il 23 giugno 1979 e conclusa a nome della Comunità con la decisione 82/461/CEE del Consiglio, del 24 giugno 1982 (GU 1982, L 210, pag. 10).