Miele umbro con il contagocce. Per il quarto anno consecutivo, i circa 2.000 apicoltori dell’Umbria fanno i conti con una produzione che segna ovunque -50%, con punte del -70% in alcune zone del territorio regionale, soprattutto per l’apicoltura stanziale, vale a dire con alveari stabili sul territorio, a differenza del nomadismo dove l’apicoltore trasporta gli sciami anche in regioni limitrofe per fare incetta di nettare.
Cia Umbria lancia l’allarme: rischiamo l’ennesima invasione di miele straniero sugli scaffali della Gdo, mentre i nostri apicoltori perdono il ruolo di ‘custodi della biodiversità’, in un momento storico in cui la sfida mondiale è il Green Deal tanto decantato.
PERCHÈ COSÌ POCO MIELE? “Ci aspettavamo una buona stagione fino a maggio – spiega in un confronto con Cia Umbria il Prof. Tiziano Gardi, docente del corso di Apicoltura come attività zootecnica l’Università di Perugia e Presidente della Commissione tecnico dell’albo nazionale allevatori api italiane, nonché apicoltore – con colonie che avevano immagazzinato più di 40 chili di miele. Tutto è cambiato in pochi giorni: il ritorno del maltempo e del freddo in primavera hanno causato lo stop delle produzioni frutticole. In risposta, le api hanno mangiato il miele prodotto. Dopo, la siccità di giugno ha bloccato la fioritura delle piante e per istinto di sopravvivenza le colonie si sono ridotte in tutta l’Umbria, tranne nella zona dell’Alta Valle del Tevere, Assisi e la parte alta di Todi, dove il clima è stata più fresco. Tirando le somme, siamo in sofferenza per il quarto anno di fila, effetto del cambiamento climatico in atto e della parassitosi causata dall’acaro Varroa, che sfrutta questi momenti di sofferenza delle colonie per indebolirle ulteriormente”. Conferma il quadro Virginia Ruspolini, 29 anni, titolare dell’Azienda ‘Api in campo’, zona Marsciano, della famiglia Cia Umbria. “L’attività che ho aperto nel 2015 va avanti, stiamo facendo importanti investimenti sugli immobili per costruire il nostro laboratorio, ma è sempre più dura. La soluzione, per me, è diversificare e unire l’apicoltura con l’agricoltura pura. Per questo, oltre a coltivare legumi e cereali antichi, con alcune associazioni aprirò alla didattica, per far capire ai ragazzi l’importanza delle api per preservare la biodiversità e la bellezza del nostro territorio. Non possiamo più puntare solo sulla produzione”.
I CAMBIAMENTI CLIMATICI E L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA CONTRO LA VARROA Grandine grossa come noci in pieno agosto, sbalzi termini notturni fino a -15 gradi, nessuna stabilità stagionale. Risultato? “Le piante vanno in stagnazione e bloccano la produzione del nettare; le api non trovano quello che cercano, la varroa e i virus che porta hanno un lavoro facile. L’Onu è stato chiaro: abbiamo rotto un equilibrio che durava da milioni di anni e tra 10 anni, se non troviamo soluzioni valide, la Terra arriverà al punto di non ritorno”. È l’opinione di Mauro Tagliaferri, associato Cia Umbria, apicoltore e titolare con il fratello di Bee Ethic, azienda che ha brevettato un dispositivo che, grazie alla termoterapia – si porta la temperatura sopra i 40 gradi per un’ora e mezza ad ogni ciclo di covata – è in grado, in modo naturale, di bloccare gli attacchi dell’acaro Varroa e salvaguardare la buona salute delle api. Un successo mondiale. “Il lockdown ci ha impedito di andare alle fiere di settore ma abbiamo approfittato – racconta Tagliaferri – per innovare ulteriormente il dispositivo, lavorando sul monitoraggio a distanza: attraverso un microchip adesso l’apicoltore può controllare, anche da casa sua, gli alveari sul proprio cellulare”.
L’ALLERTA AI CONSUMATORI SUL MIELE IMPORTATO Per il Presidente Cia Umbria, Matteo Bartolini “la scarsità di produzione di miele umbro, e italiano in generale, porterà nei supermercati miele di importazione, Cina in primis, che non ha alcuna garanzia sanitaria rispetto alle produzioni locali. Sono mieli prodotti con l’uso di antibiotici in zootecnia, che possono contenere sostanze contaminate e altamente inquinanti. I nostri mieli, invece, sono controllati in modo rigoroso dalle Asl e dalla legge italiana”. Inoltre, impariamo a leggere l’etichetta: quando c’è scritto ‘miscela di mieli comunitari’, occhio all’ordine dei Paesi. Se l’Italia è prima, vuol dire che una buona percentuale di quel miele è italiano, ma se l’Italia compare come ultimo paese, allora potrebbe aver contribuito al prodotto solo per il 3%.
IL GIUSTO PREZZO: LE INDICAZIONI DI CIA UMBRIA Come Cia Umbria suggeriamo una tabella di prezzi onesti, che garantiscono ottimo miele e il giusto reddito dell’apicoltore: miele millefiori 9-11 euro al 1 chilo, 5-6 euro mezzo chilo; miele di acacia e altri monofloreali: circa 16 euro al chilo (specie se è biologico); 7-8 euro mezzo chilo. “Acquistare sotto questi prezzi – conclude Bartolini – è un boomerang per la salute del consumatore e un passo indietro verso la realizzazione di quell’economia circolare e sostenibile che è l’unica via d’uscita alla crisi ambientale mondiale”.