Nel 2020 il Covid-19 ha destabilizzato il mercato della Cipolla Bianca di Margherita Igp. Nel mese di maggio migliaia di tonnellate di cipolle hanno invaso dall’estero i mercati italiani. Erano quelle bloccate nei mesi di marzo e aprile, durante il lockdown, sommate poi a quelle di maggio. Questo fenomeno ha generato, insieme alla chiusura della filiera Horeca, la saturazione del mercato, una domanda asfittica e prezzi bassi di vendita.
Eppure i segnali positivi non sono mancati. «Diverse catene della grande distribuzione, e con loro i consumatori, hanno dimostrato di apprezzare sempre più questa cipolla, unica per gusto e versatilità in cucina, merito della bontà del prodotto e della certificazione Igp – commenta Giuseppe Castiglione, presidente del Consorzio -. Il nostro prodotto certificato ha avuto un incremento nelle vendite del 18%, passando da 26.300 quintali nel 2019 a 30.900 quintali nel 2020. Tale incremento, tuttavia, non è riuscito a coprire i danni dell’invenduto e dei prezzi bassi della seconda fase della raccolta, in un mercato sotto stress. I produttori si sono dovuti accontentare di coprire i soli costi di produzione, senza margini di utili e i soci confezionatori, che su sollecitazione del Consorzio hanno ritirato tutta la produzione certificata Igp, hanno dovuto mandare al macero più di 10mila quintali di cipolle, senza alcun ristoro.
La campagna 2020, Covid-dipendente, è stata anomala e deviante. L’emergenza sanitaria ha portato a galla problemi inediti ma ha fatto anche da detonatore a falle già presenti negli anni precedenti nel mercato delle cipolle.
«Problematiche fondamentali per il nostro commercio -– spiega il presidente -, come la corretta regolazione del rapporto tra prodotto nazionale ed extracomunitario, dei rapporti tra gli operatori della filiera della cipolla, produttori, confezionatori e la distribuzione per un’equa ripartizione di rischi e margini di utili. La speranza è che con la collaborazione di Ministero delle politiche agricole, le associazioni dei Consorzi di tutela Igp e Dop, delle associazioni delle categorie interessate, GDO, mercati generali, coltivatori diretti, si riescano a trovare nuove soluzioni a problemi già noti e purtroppo acuitisi in questa fase, in modo da salvaguardare queste produzioni di qualità che caratterizzano il nostro Paese. Finora – conclude il presidente del Consorzio – la certificazione ha aiutato a difendere le posizioni e a far sopravvivere il settore. Manca però il salto decisivo a rendere attrattivo il ritorno ai campi, con prezzi adeguati al lavoro che c’è dietro questo tipo di produzioni e alla loro qualità».