“E’ sugli adempimenti burocratici che dovremo concentrare l’attenzione, con l’obiettivo di salvaguardare la consolidata presenza del Made in Italy agroalimentare sul mercato del Regno Unito”.
Così il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, nel giorno della firma del nuovo accordo commerciale tra l’Unione europea e il Regno Unito, che entrerà in vigore, in via provvisoria, il 1° gennaio 2021.
“Secondo le cifre fornite dal governo di Londra – sottolinea Giansanti – le importazioni di merci dalla UE richiederanno la presentazione di 215milioni di dichiarazioni doganali, circa 600mila al giorno. Gli operatori degli Stati membri dovranno sostenere costi aggiuntivi valutati tra il 4% e il 10%”.
“Resta in ogni caso il fatto assolutamente positivo che, con l’uscita del Regno Unito dal mercato unico e dall’unione doganale, sui prodotti agroalimentari in arrivo dall’Unione non saranno applicati dazi e contingenti”.
Confagricoltura evidenzia che, senza un nuovo accordo bilaterale, sarebbero scattate automaticamente le tariffe doganali stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Ad esempio, come indicato dalla Commissione europea, le esportazioni della Ue di carni bovine e suine, prodotti lattiero-caseari, cereali, zucchero sul mercato britannico sarebbero state gravate da tariffe nell’ordine del 50%. Finora il Regno Unito ha importato prodotti agroalimentari dalla Ue per un valore di 41 miliardi di euro l’anno, con un saldo attivo di 15 miliardi per l’Unione. L’export di settore dell’Italia ammonta a 3,4 miliardi.
“Un altro punto sensibile – prosegue il presidente di Confagricoltura – è quello degli accordi commerciali che saranno sottoscritti dal Regno Unito con i Paesi terzi. Proprio ieri è stata annunciata la firma di un’intesa con la Turchia che, nell’immediato, servirà a lasciare invariati i dazi esistenti. In prospettiva, è stata aperta la strada a un’intesa più approfondita e ambiziosa anche per l’agroalimentare”.
“Sono in corso poi le trattative con gli Stati Uniti, ma sono al momento emerse diversità di posizioni sul capitolo agricolo: gli agricoltori britannici temono l’apertura del mercato interno a prodotti ottenuti con metodi vietati dalla normativa in vigore. Come nel caso delle carni agli ormoni e del pollo trattato con il cloro”.
“Ci fa piacere rilevare – conclude Giansanti – che i nostri amici della NFU, l’organizzazione degli agricoltori del Regno Unito, intendono mantenere gli alti standard produttivi e le garanzie assicurate dalle regole dell’Unione europea”.