L’emergenza legata alla diffusione del Coronavirus ha colpito duramente, come noto, anche il comparto agrituristico italiano.
Una crisi che ha riguardato ben l’86% degli agriturismi, che dichiara di aver subito una riduzione dei ricavi complessivi (con perdite oltre il 50% dei ricavi per un terzo delle aziende). Tuttavia, in un quadro largamente negativo, se sono ben il 91% le aziende agrituristiche intervistate che dichiarano di aver registrato disdette di pernottamenti, solo la metà dichiara di aver subito un calo nella vendita di prodotti.
La vendita di prodotti (soprattutto diretta) sembra quindi essere stata la principale “ancora di salvezza” e ben il 22% delle aziende dichiara addirittura di aver registrato nel 2020 (rispetto al 2019) un incremento delle richieste di prodotti da parte di persone del luogo (residenti in un raggio di circa 150 km dall’azienda). Allo stesso modo, circa un quinto delle aziende riporta un aumento di richieste da parte dei clienti già fidelizzati. Tutti elementi, questi, facilmente riconducibili alla particolare situazione venutasi a creare con le limitazioni imposte dalla normativa anti-Covid19: nei mesi più duri della crisi gli agriturismi italiani si sono affidati al mercato interno e hanno trovato una risorsa, forse non preventivata, nella domanda di prossimità.
L’indagine è contenuta nel “Rapporto Agriturismo e Multifunzionalità 2020” realizzato dall’Ismea nell’ambito della Rete Rurale Nazionale, e, stante la situazione perdurante di crisi, rileva una dose non scontata di moderato ottimismo verso il futuro: se infatti il 43,9% degli imprenditori dichiara attualmente di voler “limitare i danni e attendere che tutto ritorni come prima”, il 27,4% vuole “rilanciare l’azienda con nuove strategie” e il 9,6% “pensa che ci saranno nuove opportunità”.