ROMA – L’ultimo governo (il Conte due) aveva terminato con un’agricoltura sacrificata sull’altare della crisi, con le risorse del Recovery Fund tagliate per la parte agricola e come se non bastasse, – prima della crisi in via di risoluzione con l’incarico a Draghi – con i fondi Next Generation EU destinati alle foreste, azzerati.
Ne abbiamo parlato con Sabrina Diamanti, dottore forestale e dal 2018 presidente del Conaf, il Consiglio dell’ordine nazionale dei dottori agronomi e dei dottori forestali.
Diamanti che proprio nei giorni scorsi è stata inserita nel prestigioso elenco delle “100 Eccellenze Italiane”, nella classifica 2020 della casa editrice Riccardo Dell’Anna Editore. Storie e fatti di personaggi che hanno influito nella vita del paese: in buona compagnia la presidente Conaf, insieme a lei il capo del Dipartimento protezione civile Angelo Borrelli; Franco Locatelli, direttore del Consiglio Superiore di Sanità, ma anche l’attrice Elena Sofia Ricci e lo psichiatra Paolo Crepet.
Presidente Diamanti, un riconoscimento alla carriera, al ruolo che svolge e alla categoria che rappresenta. Insomma, agronomi e forestali sempre più al centro del sistema Paese?
Sicuramente un riconoscimento inaspettato, che mi ha reso, se possibile, ancora più orgogliosa di rappresentare i Dottori Agronomi e Dottori Forestali d’Italia. Non poteva capitare in un momento più importante, un momento in cui il nostro Paese si trova ad affrontare sfide per le quali la nostra professione gioca un ruolo da protagonista.
Il settore primario, con tutto il comparto che lo rappresenta, ha dimostrato ancora di più, in un momento complesso quale l’emergenza sanitaria che ci ha travolto, ormai, da un anno, la sua importanza.
Con il nostro lavoro, a fianco delle aziende, anche in totale lockdown abbiamo contribuito a garantire la continuità della produzione e della distribuzione di cibo sicuro e sano, oltre aver mantenute attive le attività legate al mondo rurale (agricoltura, zootecnica, selvicoltura).
Crisi di governo in corso. Come Conaf, dopo le dimissioni della Bellanova, siete intervenuti per chiedere una maggiore considerazione dell’agricoltura nell’agenda politica: che cosa si aspetta? E che profilo deve avere il nuovo inquilino di Via XX Settembre?
Ci attendiamo un profilo dotato di adeguata preparazione sulle tematiche che investono e investiranno il settore agroforestale, da qui ai prossimi 10-20 anni. Una persona capace di avere la visione delle prospettive di un comparto in piena transizione verso lo sviluppo sostenibile.
Mai come in questo momento storico così complicato per il Paese le competenze specifiche sono determinanti per il successo delle sfide che il futuro ci riserva.
Nelle ultime settimane abbiamo assistito al taglio delle risorse destinate al Green Deal agricolo nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza-PNRR, oltre alla riduzione dei fondi destinati alla Politica Agricola Comune. Ovvero minori investimenti per le imprese agricole: come professionisti siete preoccupati?
Certamente. Lo siamo per le imprese agricole e della filiera agroalimentare e per quelle del comparto agrituristico che hanno dovuto sostenere i costi della pandemia e che saranno in difficoltà con la ripresa.
Ma quello che è più preoccupante è il segnale politico che deriva da questa decisione: non si è compreso il ruolo strategico dell’agricoltura per l’Italia.
L’agricoltura, infatti, non si limita alla produzione alimentare ma è tutela del paesaggio, mantenimento della biodiversità, conservazione delle tradizioni e della cultura. Quando andiamo nei mercati esteri accanto al vino, ai formaggi, all’olio raccontiamo un territorio, descriviamo le nostre tradizioni, proponiamo le nostre identità.
Si tratta di un valore aggiunto che non si può delocalizzare ma dobbiamo prendercene cura, dobbiamo imparare a non depauperarlo e, nel contempo, ad aggiornarlo. Dobbiamo essere capaci di migliorarci, integrando questi valori che sono insiti nel territorio con le innovazioni tecniche e produttive.
Per fare questo servono sicuramente fondi che accompagnino gli imprenditori e tutti gli attori coinvolti in quest’evoluzione, ma ciò che più serve è una visione politica che offra una strategia e un percorso.
Da qui nasce la preoccupazione, e in qualche modo si lega alla risposta precedente: il timore è che il ministero dell’agricoltura possa diventare una mera pedina di scambio politico anziché il perno per valorizzare l’enorme bene che il mondo agricolo e forestale rappresentano per il nostro Paese.
Nella bozza del piano Next Generation EU presentato dall’ultimo Governo, sono state azzerate le risorse, pari a 1 miliardo di euro, destinate alle foreste. Quali conseguenze può provocare questa scelta politica?
Il ricorso ai fondi del PNRR, con le procedure semplificate di autorizzazione e di spesa e una progettazione unitaria, avrebbe costituito un importante, irripetibile, opportunità.
Nel nostro Paese, il 10,4% della popolazione italiana (e il 9% degli edifici) vive in aree a rischio di alluvione, il 2,2% della popolazione (e il 4% degli edifici) vive in zone a rischio di frane, il 16,6% della superficie italiana è mappata ad alto livello di pericolosità.
La funzione protettiva e di prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico svolta dalle formazioni forestali è riconosciuta da decenni, e non possiamo rinunciare al contributo del bosco per la regimazione delle acque.
Gli interventi che erano proposti nel PNRR prevedevano un’azione unitaria su scala nazionale per contrastare le emergenze territoriali di dissesto idrogeologico e un’azione di prevenzione diffusa attraverso la gestione forestale sostenibile su superfici sottoposte a vincolo idrogeologico (81% della superficie forestale nazionale). Inoltre, erano previsti interventi di manutenzione e sistemazione straordinaria delle opere di idraulica forestale in aree montane e collinari ad alto rischio idrogeologico e di frana.
Bastano queste poche parole per capire perché azzerare questi fondi è stata una decisione incomprensibile: con questa scelta, il PNRR si trasforma in un piano che non guarda al futuro, che non cura il territorio né i propri cittadini. Per questo nella proposta che stiamo predisponendo, porteremo nuovamente al centro la tematica forestale
Le politiche europee del Green Deal, con la strategia Farm to fork, ci indicano un futuro dal campo alla tavola sempre più nel segno della sostenibilità. Un percorso che dovrà essere accompagnato dai professionisti dell’agricoltura: gli agronomi italiani sono pronti?
Gli attori del settore primario dovranno garantire a tutti l’accesso alle risorse, ma lo dovranno fare agendo in modo sostenibile: mantenendo la fertilità dei suoli, preservando la biodiversità, riducendo gli inquinamenti di aria e acqua.
Consapevoli di questo ruolo, al termine dei lavori del XVII Congresso è stata approntata la “Carta di Matera”, un documento complesso che orienterà la vita professionale dei dottori agronomi e forestali da qui al 2030, e non solo.
Nel comparto primario, infatti, vediamo molti casi puntuali che fanno perno sulla sostenibilità ma, appunto, sono casi puntuali. Ciò che manca è il saper traghettare il mondo agricolo verso sistemi produttivi sostenibili con l’ambizione di produrre un cambiamento sistemico.
Qui entrano in gioco i dottori agronomi e forestali: la nostra capacità professionale ci rende poliedrici, le nostre competenze ci consentono di spaziare su diversi territori, di progettare, di pianificare e di avere uno sguardo a lungo termine. Conosciamo l’importanza di prendersi cura della componente biotica, integrandola con quella abiotica, cercando quotidianamente la sostenibilità in equilibrio con la vita umana.
Sappiamo che gli sforzi che ci troveremo a fronteggiare sono necessari, se vogliamo lasciare un futuro ai nostri figli. E sono altrettanto consapevole che i dottori agronomi e i dottori forestali, che mi onoro di rappresentare, sapranno essere protagonisti per far sì che i principi enunciati non restino utopia ma si trasformino in realtà.
Oltre al cibo, nei mesi della pandemia si è parlato della necessità di città sempre più verdi e sostenibili: a che punto siamo in Italia?
La popolazione mondiale sta crescendo al ritmo di circa 80 milioni di individui l’anno. Il tasso di urbanizzazione globale, oggi al 55% della popolazione mondiale, secondo le proiezioni dovrebbe aumentare fino al 68% entro il 2050. La qualità della vita media auspicabilmente migliorerà.
Ciò si tradurrà in un crescente bisogno di cibo, di acqua, di energia, di fibre tessili, di materie prime per l’industria. Tutto in un contesto mondiale che sta affrontando profondi cambiamenti sociali, economici, ambientali. In Italia, anche se il fenomeno è meno marcato, non per questo meno rilevante. L’ultimo rapporto SNPA “Qualità dell’ambiente urbano” dimostra che siamo ancora molto indietro.
Non è un caso, che nel Congresso di Matera, tra i 4 obiettivi di Agenda2030 a cui abbiamo dato priorità ci sia proprio l’obiettivo 11, che parla di città e comunità sostenibili.
La domanda diventa, allora: come farlo? Per esempio, rispetto al consumo di suolo ci impegniamo a realizzare piani aziendali che ne minimizzino il consumo attraverso forme di compensazione, a orientare la progettazione al recupero funzionale, al riuso, alla rigenerazione e alla decostruzione selettiva.
Rispetto all’agronomia urbana e alla produzione di cibo in città vogliamo orientare la capacità progettuale al benessere individuale e collettivo. Vogliamo favorire la cultura della produzione attraverso strutture e infrastrutture come orti, interconnessioni vegetazionali arboree e arbustive, educando le giovani generazioni a pratiche ambientali sostenibili, a preservare la biodiversità, al recupero produttivo di aree abbandonate e alla riconnessione delle aree sensibili.
Nella progettazione del verde in città guardiamo all’innovazione per la valutazione di stabilità degli alberi, per l’elaborazione delle informazioni sul patrimonio arboreo e arbustivo, per progettare le aree verdi considerando le proprietà specifiche degli individui e le comunità vegetali degli ecosistemi urbani.
Ci preoccupa che attualmente lo “slogan verde” sia “piantare alberi”. Non è sufficiente: l’albero deve essere messo a dimora in un ambiente adatto, ha bisogno di cure, aspetti che ancora troppo spesso vengono dimenticati. Oltre al fatto che occorre valorizzare il patrimonio verde esistente, ma anche educare il cittadino alla eventuale sostituzione, perché l’albero è un essere vivente per cui nasce, cresce e muore.
Questo solo per citare alcune delle linee d’azione che ci siamo dati.
Giovani in agricoltura, ma anche giovani nelle professioni tecniche dell’agricoltura: un ritornello che sentiamo da alcuni anni. In che direzione sta andando la categoria degli agronomi e forestali, come si sta muovendo il Conaf?
Alla base della strategia CONAF c’è sicuramente un’azione di rete, e per i giovani stiamo facendo un intenso lavoro di concertazione con il settore accademico scientifico ed universitario, al fine di formare Dottori Agronomi e Forestali che siano preparati ad affrontare le nuove sfide. Il giusto connubio tra innovazione e tradizione deve essere alla base dell’approccio alla professione dei nostri giovani colleghi.
Consapevoli delle grandi possibilità che la nostra professione offre, abbiamo ripreso la trattazione ed i confronti, anche grazie alla diffusione dei webinar e della formazione a distanza, di temi che da troppo tempo erano stati messi in secondo piano, mentre sono fondanti della nostra professione, tra cui l’estimo, la pedologia, la patologia e l’entomologia. Vogliamo che i giovani conoscano tutte le opportunità che la nostra professione offre e riteniamo che alcune tematiche e competenze siano fondamentali nonché fondanti per la nostra attività.
Un importante aspetto in cui crediamo è legato al progetto di identità: abbiamo lanciato il logo unico, a cui hanno aderito quasi tutti gli ordini d’Italia, e stiamo riprogettando la rete di siti istituzionali.
In fase di approvazione il regolamento per l’uso del logo, cui potranno aderire anche gli iscritti: riteniamo infatti che anche questo sia un aspetto importante per far capire ai giovani che siamo parte di una immensa famiglia.