SIENA – Il Coronavirus e la pandemia hanno profondamente inciso sulla nostra vita quotidiana cambiando abitudini e stile di vita. A subire maggiormente le conseguenze di questi cambiamenti è stato il mondo del lavoro che ha dovuto adattarsi nei tempi e negli spazi a una nuova routine.
Si è cercato quindi di dare più flessibilità alle strutture aziendali, per creare un nuovo equilibrio tra vita lavorativa e tempo libero. L’uso più strutturato di computer portatili e smartphone è solo una parte del cambiamento che riguarda la riorganizzazione degli uffici, la valorizzazione del ruolo delle persone e lo stile della leadership aziendale.
Di questo, dei vantaggi e delle criticità dei cambiamenti, se ne è parlato venerdì 12 febbraio in occasione del convegno online dal titolo “Smart working. Il lavoro agile nel settore privato: prospettive e opportunità oltre l’emergenza” organizzato dall’Unione Provinciale Agricoltori di Siena in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali dell’Università di Siena.
La modalità di lavoro agile, se da un lato ha evidenziato indubbi vantaggi nel suo utilizzo, dall’altro ha fatto emergere l’esigenza di dover interpretare correttamente le generali disposizioni applicabili a tutti i rapporti di lavoro subordinato, smart working compreso. Su queste tematiche si sono confrontati nel corso del convegno docenti universitari, avvocati, dirigenti e direttori di istituzioni, politici italiani ed europei.
Prospettive e opportunità oltre l’emergenza
“Lo smart working non deve essere visto solo come una necessità, ma come un’opportunità” così si è aperto il convegno con i saluti istituzionali di Nicola Ciuffi, presidente UPA Siena. È intervenuto anche Gerardo Nicolosi, direttore del Dispi dell’Università di Siena, che ha sottolineato come il lavoro agile abbia aperto nuove prospettive, ma anche nuovi problemi legati alla socialità in quanto il lavoro è fatto anche di rapporto umano. Gianluca Cavicchioli, direttore UPA Siena, chiude i saluti istituzionali aprendo la prima sessione dei lavori, mettendo in luce il motivo dell’organizzazione di tale evento: “abbiamo organizzato questo incontro in quanto non appena siamo entrati nel merito sono emerse delle difficoltà e tanti aspetti che meritano un approfondimento. L’obiettivo è quello di andare ad ottimizzare questa risorsa e capire soprattutto come farlo”.
Lavoro formandomi
La prima sessione del convegno è stata moderata da Laura Castaldi, professore associato di Diritto Tributario del Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali dell’Università di Siena.
Il primo intervento è stato quello di Claudio Melacarne, professore associato al dipartimento di Scienze della Formazione, Scienze Umane e della Comunicazione Interculturale nell’Università di Siena, con il quale abbiamo compreso quanto sia importante e da non sottovalutare la formazione continua soprattutto in caso di lavoro agile.
Il lavoro da remoto si basa su un principio fondamentale che è quello di fiducia tra il lavoratore e il datore di lavoro: c’è l’idea di una cultura diversa della responsabilizzazione e del raggiungimento dei risultati, dove non si prevede il controllo del datore di lavoro, ma il lavoratore può gestire più o meno autonomamente gli orari di lavoro. Ed ecco spiegato il motivo per cui il lavoro agile, in qualche modo garantisce un incremento di competitività e produttività. Questo aspetto è stato affrontato da Marco Tufo, avvocato giuslavorista, dottore di ricerca in relazioni di lavoro e research fellow all’Università di Siena.
Bisogna cogliere le opportunità in prospettiva, traendo il meglio dalle esperienze in ottica del futuro
L’intervento di Giuseppina Mortillaro, avvocata giuslavorista e professoressa a contratto nell’Università di Pisa – Dipartimento di Economia e Management, si è focalizzato sulla questione legata ai controlli a distanza. Infatti, durante il periodo pandemico, per alcune aziende il lavoro agile è stato l’unico modo per continuare a portare avanti l’attività. A questo punto, essendo necessario un lavoro a distanza, anche il controllo non poteva che essere a distanza. A questo scopo vengono usati strumenti di controllo da remoto, basti pensare alla posta elettronica, alla messaggistica, alcuni applicativi software. Naturalmente il lavoratore deve essere informato sulle modalità di controllo e tutto deve essere rispettoso in funzione della normativa sul rispetto della privacy.
Una cosa che è mancata nel periodo pandemico è stata quella di non fornire gli strumenti allo smart worker e le regole a cui egli dovrebbe sottostare. Questa problematica è stata affrontata da Marco Giuri, avvocato dello Studio Giuri Avvocati Associati. In sostanza i lavoratori non sono stati adeguatamente sensibilizzati in termini di trattamento dei dati sensibili. Per questo sarebbe doveroso rafforzare prima la consapevolezza del datore e poi del lavoratore. Risulta fondamentale anche proteggere le postazioni di lavoro, soprattutto per il lavoro agile e proteggere gli apparecchi usati per il salvataggio dei documenti.
Si è parlato anche di Diritto alla disconnessione, ovvero la libertà di non rispondere alle comunicazioni di lavoro durante il periodo di riposo. A ora il Parlamento Europeo ha riconosciuto il problema e approvato una risoluzione con cui chiede alla Commissione di intervenire. Vedremo come si evolverà la questione.
Per il momento il ricorso al lavoro agile è solo raccomandato, come misura di sicurezza e di prevenzione
Almeno per il momento, non sussiste un diritto generale al lavoro agile, non si ha il diritto all’assegnazione del lavoro agile perché occorre un accordo, un consenso da parte del datore di lavoro. A fronte di una richiesta di un lavoratore il datore non è tenuto a modificare l’organizzazione del lavoro. Maria Luisa Vallauri, professoressa associata di diritto del lavoro all’Università di Firenze, ha basato il suo intervento basandosi su questo aspetto, in quanto non esiste alcun diritto all’assegnazione del lavoro agile, ma si parla di priorità, riservata ai lavoratori che versano in una condizione di fragilità.
Ritorno alla normalità con la consapevolezza che oltre alla pandemia lo smart working può essere applicabile anche in altri contesti
La seconda e la terza sessione dei lavori è stata moderata da Tania Pagano, funzionario area politiche del lavoro e welfare di Confagricoltura, la quale sostiene che la modalità di lavoro agile si è rivelata essere di grande interesse per l’emergenza che ha portato molte aziende a ricorrere a tale modalità, per contribuire a far fronte alla pandemia e ricorrere ai ripari. “C’è la necessità, visto che sarà destinata a durare nel futuro, di capire come possa essere regolamentata e i problemi operativi che esistono attualmente”.
Dopodiché è intervenuta Marisa Petrillo, Avvocatura regionale Inail, la quale riallacciandosi a quanto detto da Tania Pagano, ha affermato che il lavoro agile ha costituito una risposta efficace per far fronte alle esigenze e alla tutela della sicurezza del lavoro, ma anche di ammodernamento costruito sulla figura subordinata del lavoratore.
“Con l’applicazione del lavoro agile è stato riscontrato un incremento del fatturato del 20%, la produttività è aumentata del 12% e sono diminuite del 13% le assenze. Il 45% del tempo complessivo lavorato è stato svolto in smart working”. Con queste parole Antonio Curti, dirigente regionale vicario di Inps, direzione regionale Toscana, che con l’organizzazione in smart working dei lavoratori durante la pandemia c’è stata una netta riduzione del rischio di contagio.
Dopodiché abbiamo ascoltato Orazio Parisi, direttore direzione generale della tutela, sicurezza e vigilanza del lavoro (INL), secondo il quale la pandemia ha accelerato l’evoluzione tecnologica, modificando le modalità dell’attività lavorativa. Se fino ad ora eravamo abituati a vivere secondo la mentalità del lavorare basandosi sulle ore che un lavoratore deve lavorare, adesso sembra che abbiamo superato questa ritrosia, approdando ad una cultura basata sul lavorare per obiettivi.
Il pericolo di vanificare uno strumento valido
“L’agricoltura è interessata allo smart working perché esiste un’agricoltura moderna, multifunzionale, che sempre di più si avvicina come forma imprenditoriale agli altri settori produttivi”. Così inizia l’ultimo intervento della seconda sessione portato avanti da Roberto Caponi, avvocato e responsabile del servizio sindacale Confagricoltura. Ciò che l’avvocato ha voluto sottolineare in merito all’applicazione del lavoro agile è il fatto che dovremmo evitare una iper regolamentazione normativa: il timore infatti, è che ora che abbiamo scoperto il potenziale di tale sistema si cominciano a formulare le disposizioni normative, rischiando di vanificare uno strumento che ha dimostrato tutta la sua attualità. “Credo invece che un ruolo importante possa essere svolto dalla contrattazione collettiva, per mantenere la flessibilità dello strumento e consentire comunque di renderlo utile”.
La terza sessione si è svolta in una tavola rotonda politica, dove abbiamo potuto ascoltare l’intervento dell’onorevole Debora Serracchiani (Pd), per la quale, con il lavoro agile c’è stata una riorganizzazione del lavoro, sono cambiati i tempi e i luoghi del lavoro e dobbiamo tener conto che queste conseguenze si determinano sulla vita del lavoratore, sull’organizzazione aziendale e sul contesto ambientale. La politica dovrà ragionare, quindi, su come costruire il quadro giuridico e come affrontare conseguenze legate agli aspetti appena citati.
“La pandemia ci ha posti davanti ad uno shock culturale che ci impone di riflettere su quelle che sono le nuove modalità di lavoro” così la Sen. Susy Matrisciano (M5S), introduce il suo intervento, aggiungendo che dovremmo partire da un cambio di cultura organizzativa, un cambio culturale di approccio a questo nuovo modo di lavorare che si basa sul contenuto e la qualità dell’obiettivo da raggiungere e non del tempo impiegato per poterlo raggiungere.
Abbiamo ascoltato poi la Sen. Tiziana Nisini (Lega), che si è focalizzata sulle problematiche riscontrate nel mondo agricolo, e più in particolare nelle aziende più piccole. Infatti le aree bianche hanno riscontrato non poche criticità, aree dove nessun operatore di infrastrutture investe o investirà, per questo dovrebbe intervenire lo stato in quanto le piccole realtà non hanno la possibilità di attivare l’e-commerce o non hanno l’accessibilità per essere aggiornate continuamente.
Per Giampiero Falasca, avvocato giuslavorista, delega sul Lavoro del Comitato Promotore di Azione, dopo questo periodo di sperimentazione del lavoro agile sarà necessario evitare un nuovo intervento normativo, perché noi italiani abbiamo l’abitudine di risolvere ogni problema con la regolazione e questo fa sì che si stratifichino norme su norme, andando ad intaccare uno strumento che fino ad ora si è rivelato funzionale.
La parola è poi passata all’On.le Ettore Guglielmo Epifani (Liberi e Uguali), secondo il quale se parliamo di smart working non ci riferiamo solo a una dimensione spaziale del lavoro, ma anche a un’organizzazione basata su autonomia e obiettivi. Se mancano queste caratteristiche allora diventa semplicemente una scelta di costrizione (come del resto è avvenuto nel periodo pandemico). “Questa fase finirà e quindi il tema va portato fuori dalla costrizione e sarà inevitabile fare delle verifiche in primis con le aziende, perché non tutte possono scegliere questa modalità. Noi parliamo di smart working come modello da seguire, ma non ne sono tanto sicuro in quanto questo modello può valere per un certo tipo di impresa, visto che non tutti i settori merceologici hanno la stessa possibilità”.
Durante il convegno gli spunti di riflessione sono stati molti. Una giornata di approfondimento intorno ad un tema che merita di essere chiarito e valutato da ogni punto di vista. Ci aspettiamo che dopo questo periodo di sperimentazione durante la pandemia, la modalità di lavoro agile possa trovare seguito. I tempi si sono dimostrati maturi a cogliere un’opportunità da coltivare e perfezionare nel tempo.