ROMA – Già duramente piegato dalla crisi per il Covid, il florovivaismo italiano dovrà, per risollevarsi, puntare sempre di più sui mercati esteri e fare i conti con il nuovo scenario europeo senza il Regno Unito, di fronte al quale, a tutela del comparto, servono procedure per l’export più snelle e digitali.
Così Cia-Agricoltori Italiani e l’Associazione Florovivaisti Italiani in occasione del webinar “L’impatto della Brexit sul florovivaismo” che ha fatto il punto con Agenzia ICE, Agenzia delle Dogane e Copa-Cogeca.
Per Cia e Florovivaisti Italiani, infatti, occorre accelerare sui processi per garantire la tenuta del settore che rappresenta il 5% del Pil agricolo nazionale ed è arrivato a fatturare 2,8 miliardi di euro grazie alla produttività di 24 mila aziende di tutta Italia.
Un comparto che, oggi, con un virus ancora duro da sconfiggere, deve guardare con più slancio a nuovi sbocchi commerciali e affrontare con pragmatismo l’accordo per la Brexit.
In gioco, precisano le due organizzazioni, oltre 40 milioni di euro di prodotti del florovivaismo che ogni anno l’Italia manda in Uk, il 5% del totale delle esportazioni nazionali.
La riflessione, precisano Cia e Florovivaisti Italiani, va chiaramente fatta anche a Bruxelles, perché i prossimi anni di applicazione dell’accordo Ue-Uk porteranno alla luce nuove dinamiche relazionali che faranno emergere, per esempio, i flussi commerciali di piante e fiori, e aumentare i controlli fitosanitari oltremanica.
L’intera Europa dovrà salvaguardare un export di piante verso il Regno Unito che solo nel mese di gennaio 2021, ha fatturato 8 milioni di euro (-34% rispetto allo scorso anno) e quello dei fiori che, nello stesso periodo, è arrivato a quota 48 milioni (+3% rispetto al 2020).
Se per gli effetti della Brexit sul mercato floricolo in Uk bisognerà aspettare qualche anno, sull’impatto dell’accordo per l’uscita dall’Europa si può, secondo Cia e Florovivaisti Italiani, agire da subito, magari anche orientando i risultati futuri in termini di ritorno economico per i produttori.
Resta, infatti, cruciale il nodo burocratico, vero primo scoglio della transizione. Non ci saranno tariffe o quote, ma si andranno moltiplicando le procedure per il trasferimento delle merci, i controlli fitosanitari e, da luglio, quelli alle frontiere per il rispetto del mercato interno e della normativa britannica. Formalità doganali che avranno oneri per l’Italia e gli altri Paesi Ue esportatori, in primis l’Olanda.
Il passaporto delle piante, aggiungono, che fu una grande conquista dell’Europa, non avrà più valore, sostituito da pre-notifica di esportazione (che richiede dalle 24 alle 36 ore), certificato sanitario, controlli documentali d’identità e fisici, controlli fisici alle dogane. Sarà, dunque, come tornare indietro di decenni e frenare bruscamente, se non si affronterà il cambiamento in sella al suo volano, rappresentato da tecnologia e digitalizzazione, implementando sistemi informatici per la gestione dei dati.
“L’Italia deve mettersi in pista anche su questo fronte -hanno commentato Dino Scanavino, presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani e Aldo Alberto, presidente Associazione Florovivaisti Italiani-. Il Green Deal Ue da una parte e dall’altra l’uscita del Regno Unito dall’Ue, spingono il Paese a un lavoro di ammodernamento dei servizi fitosanitari per affrontare anche le restrizioni Uk su prodotti e piante a rischio.
In questo senso e per superare le criticità, servirà un confronto aperto con i Comitati scientifici del Consiglio di partenariato. Dunque la negoziazione può dirsi non ancora conclusa e – hanno precisato – si dovrà risolvere sul piano della concorrenza leale, della reciprocità e della trasparenza”.