LEGNARO (PD) – Non passa giorno che sulla stampa nazionale non compaia un articolo che demonizza gli allevamenti zootecnici.
Una campagna mediatica che sembra orchestrata ad arte, spesso con argomentazioni risibili e infondate ma che inevitabilmente scuotono un’opinione pubblica sempre più sensibile – aggiungiamo noi, giustamente – ai temi della sostenibilità e del benessere animale.
“Purtroppo a volte sembra di combattere contro i mulini a vento – dichiara Fabiano Barbisan, presidente dell’AOP Italia Zootecnica – e nonostante la diffusione di dati certi e incontrovertibili il settore zootecnico italiano, uno dei più virtuosi al mondo, è oggetto di attacchi sistematici volti a minarne la credibilità e il valore economico”.
Asprocarne Piemonte, Azove, Scaligera, Unicarve, Bovinmarche, Vitellone di Marca, APZ Calabria, Consorzio Carni Qualità Piemonte, Associazione Produttori Boccarone, Associazione Produttori Unicarve e Consorzio Carni di Sicilia sono le 11 organizzazioni di produttori di carni bovine che afferiscono alla AOP Italia Zootecnica e insieme rappresentano oltre il 57% della produzione complessiva italiana. Un patrimonio di tradizione e innovazione che guarda al futuro sia in termini di promozione e valorizzazione della produzione nazionale che di rispetto delle norme su benessere animale e sostenibilità un termine, quest’ultimo, oggi molto ricorrente che proprio per questo merita un approfondimento sul suo più autentico significato.
“Nel settore dei bovini da carne italiano possiamo vantare numerosi esempi di allevamenti tecnologicamente all’avanguardia, condotti da allevatori lungimiranti, che a ragione possono essere considerati sostenibili – spiega Ettore Capri, docente presso il Dipartimento di scienze e tecnologie alimentari per una filiera agroalimentare sostenibile all’Università Cattolica di Piacenza – La sostenibilità in zootecnia ha un grandissimo significato, ma la mancanza di un approccio più sistematico al tema rischia di lasciare spazio a un modo scorretto di affrontarlo. I principi su cui si basa la sostenibilità sono pochi ma fondamentali. Per poterla definire essa deve essere misurabile; integrata e non frammentata nelle sue diverse componenti quali il benessere animale, la gestione dei nitrati, l’uso razionale del farmaco; deve prevedere modalità di trasparenza tra tutti gli stakeholder e di tracciabilità dei processi: solo considerando tutti questi aspetti insieme si può parlare di autentico significato del termine sostenibilità”.
Professor Capri, spesso le associazioni animaliste e ambientaliste affermano che la produzione di un kg di carne consuma diversi kg di cibo vegetale che potrebbe essere destinato all’alimentazione umana. Perché questa affermazione è priva di fondamento?
“Queste affermazioni derivano sempre dall’elaborazione di dati internazionali che non corrispondono mai alla produzione zootecnica nazionale, dove invece i dati riferiti ad esempio agli impatti delle impronte carbonica e idrica sull’ambiente si riducono considerevolmente, spesso anche nell’ordine del 30-40%, il che ridimensiona in maniera significativa il problema.
A questo bisogna aggiungere che le coltivazioni destinate all’alimentazione del bestiame sono specializzate per la produzione mangimistica e non potrebbero essere destinate all’alimentazione umana. Personalmente, davanti a un hamburger alla soia, mi preoccuperebbe molto di più il solo pensiero della sperimentazione che ha portato alla sua produzione”.
Che ruolo hanno gli allevamenti zootecnici e nello specifico quelli di bovini da carne nello sviluppo dell’economia circolare?
“Essenziale e fondamentale – afferma Ettore Capri – i nostri allevamenti sono i migliori in assoluto sul panorama internazionale. Il nostro modello di economia circolare deve essere il baluardo della sostenibilità a livello mondiale perché il miglioramento è iniziato ben due secoli fa e nel tempo si è costantemente evoluto.
È un punto di forza che deve essere opportunamente valorizzato. Ricontestualizzare il nostro modello di economia circolare in un’economia integrata può contribuire a far emergere tutti i punti di forza che caratterizzano la nostra zootecnia. Davanti a questi aspetti, al di là dei marchi tutelati, l’immagine di una zootecnia italiana sostenibile si riempie di contenuti irraggiungibili dai nostri competitor”.
Qual è l’anello mancante, se esiste, per raggiungere questi obiettivi?
“Una maggiore consapevolezza sul significato del termine sostenibilità, che si traduce nel principio di miglioramento in un contesto dove l’allevatore è al centro di tutto. È un salto culturale, certo, ma occorre uscire da un approccio difensivo a favore di uno proattivo.
La strategia Farm to Fork mette in discussione la dieta mediterranea e spinge verso quelle vegetariane e vegane per far credere che sono più sostenibili: un paradosso che deve essere smontato con la forza di dati certi e inconfutabili”.