ROMA – Investire nella ricerca per avere varietà nuove di proteine vegetali nel territorio, adatte sia alle esigenze di mercato che ai cambiamenti climatici in corso.
È l’obiettivo di Deborah Piovan, riconfermata alla guida della Federazione nazionale proteoleaginose di Confagricoltura.
Padovana, 52 anni, l’imprenditrice agricola ha un’azienda nel Delta del Po, in territorio di Porto Tolle, e da più di vent’anni è impegnata in ruoli di rappresentanza in Confagricoltura.
È membro della Società Italiana di Genetica Agraria e dell’Accademia dei Georgofili, oltre che portavoce del manifesto Cibo per la Mente che punta a sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulla necessità di investire nell’innovazione e nella ricerca nel campo dell’agricoltura e dell’agroalimentare.
“Durante il mio primo mandato l’impegno principale è stato dedicato al Piano proteico europeo e a quello nazionale – spiega Deborah Piovan -. L’Unione Europea si è ripromessa da anni di stimolare la produzione di proteine vegetali nel proprio territorio, con lo scopo di ridurre le importazioni dall’estero. Si teme infatti l’eccessiva dipendenza da Paesi extra Ue, che ci pone in condizioni di pericolosa debolezza.
È evidente che la produzione europea non potrà arrivare a soddisfare le esigenze del mercato interno, mangimistico in particolare, ma ci sono ampi spazi di crescita. Per questo abbiamo sempre chiesto investimenti in ricerca, per avere varietà nuove. Inoltre abbiamo posto l’attenzione sulla pericolosità di rimuovere strumenti di produzione utili a difendere le coltivazioni, soprattutto se non si promuove con decisione la ricerca biotecnologica, come si dovrebbe. L’Ue punta inoltre a promuovere diete che vedano un aumento del contenuto di proteine vegetali: noi produttori siamo pronti a raccogliere questa sfida. Va detto che gli standard produttivi europei sono i più stringenti al mondo. Perciò appare un controsenso importare merce prodotta con regolamenti diversi dai nostri e controlli affidati ad apparati burocratici non sempre facili da far funzionare”.
La Federazione di prodotto intende continuare a lavorare per stimolare la costruzione di filiere dedicate alle proteoleaginose. “Il contratto di filiera per la soia è una realtà, ma ritengo sia solo un tiepido inizio – dice -. Rimane nostra ambizione poter dedicare alla nutrizione umana anche una fetta della produzione di soia italiana che, per forza di cose, è priva di ogm come una parte del mercato richiede. L’obiettivo è sempre quello di offrire ai nostri produttori garanzie di una remunerazione adeguata. Per quel che riguarda la soia veniamo da mesi di quotazioni molto soddisfacenti per i produttori: la soia vale il 50% in più dell’anno scorso; i fondamentali di mercato lasciano intuire che la situazione rimarrà tale ancora per un po’. Le scorte mondiali sono piuttosto basse e la Cina è attivamente presente sui mercati per acquistare.
È prevedibile che le semine di soia aumenteranno, in particolare in Veneto ed Emilia Romagna, probabilmente a discapito del mais. Ci auguriamo che le condizioni meteo sostengano la coltivazione, anche se gli imprenditori dovrebbero potersi affidare sempre di più a strumenti di protezione, siano essi di tipo assicurativo, che relativi a innovazioni tecnologiche e biotecnologiche”.
Infine, Piovan ritiene che l’esperienza covid debba far riflettere tutta la società sul valore della nostra produzione di cibo: “L’agricoltura italiana non si è mai fermata, ha continuato a garantire cibo sano, sicuro e a buon mercato. Il valore di poter contare su filiere nazionali in un momento di paralisi come quello che abbiamo vissuto l’anno scorso è davvero prezioso: ci auguriamo che si smetta di accusare gli agricoltori di inquinare perché, semplicemente, è un falso creato da marketing di bassa lega”.
LEGGI ANCHE