ROMA – “I distretti del vino, come quello appena nato in Puglia, rappresentano delle occasioni straordinarie di crescita e di ripartenza, che mettono a sistema Aziende, Università e Centri di Ricerca per migliorare l’intera filiera, ottimizzando il flusso della conoscenza e della tecnica, dalla ricerca all’impresa”.
A sottolinearlo è il presidente del CREA Carlo Gaudio
“In questo ambito il CREA, che ha nella sua mission la traduzione dei risultati delle ricerche in strumenti pratici e pronti all’uso, può dare un contributo significativo, non solo partecipando alla fase di sviluppo con le Università, ma trasformando la conoscenza acquisita in un “prodotto” utile alla crescita culturale e tecnologica delle aziende, collaborando con i tecnici e gli imprenditori nel quotidiano, fino al loro successo. Insomma, un modello che costituisce un’esperienza da replicare anche in altre regioni italiane”.
Il contributo del CREA al modello Distretto
Il CREA, con il suo Centro dedicato di Viticoltura ed Enologia, è già presente in maniera importante in Veneto ed in Friuli, nella regione del Prosecco, dove studi di miglioramento genetico sulla Glera sono già in stato avanzato e molto apprezzati, tanto da iniziare a lavorare in tal senso anche su Primitivo ed un altro paio di vitigni tipici del Sud Italia nella nostra sede di Turi (Bari), sede preposta al miglioramento genetico dell’uva da tavola ma anche alla viticoltura del mezzogiorno.
Sulla viticoltura avanzata, digitale e sostenibile, è attivo il Centro di Conegliano (Treviso) con un forte orientamento tecnologico, mentre sugli stessi temi, ma con una specifica vocazione al biologico, è impegnata la sede di Arezzo. In Piemonte, in collaborazione con Coldiretti e viticoltori privati, il CREA sta studiando aspetti qualitativi enologici, ma anche tecnologie innovative in cantina e nell’intera catena produttiva, così come a Velletri, vicino Roma.
Più in generale, gli ambiti principali di intervento del CREA sono da una parte il miglioramento genetico tradizionale e biotecnologico, indirizzato a creare nuova biodiversità e a sfruttare quella esistente, anche attraverso la cura delle collezioni viticole (quella del CREA è la più grande d’Italia) ed il recupero delle tradizioni viticole; dall’altra, invece, la viticoltura di precisione, digitale e sensoristica che utilizza modelli matematici con cui gestire il vigneto, grazie all’ausilio di centraline meteo e dispositivi di supporto decisionale basati su immagini satellitari o misurazioni fisiologiche sulla pianta. Senza mai dimenticare la sostenibilità, con lo sviluppo di protocolli da applicare in vigneto che prevedono prodotti alternativi a quelli chimici di sintesi e che sono finalizzati ad una gestione del suolo e del verde rispettosa dell’ambiente (irrigazione, inerbimento, concimazione, raccolta), frutto di sperimentazione e ricerca consolidata.
Il caso Puglia
Il vitigno principe, il Primitivo, con 2 due DOP oltre alla IGT, può crescere moltissimo, tanto da diventare il volano di sviluppo per numerosissime varietà caratterizzanti i territori, dal Nero di Troia, al Bombino, al Negramaro – solo per dirne alcuni – ognuno potenzialmente oggetto di ulteriore affinamento, esaltando le peculiarità dei territori e dei prodotti dell’agroalimentare che li accompagnano. La biodiversità del Sud Italia, che dall’Enotria (dalla Calabria centrale fino al Sud della Campania e buona parte della Basilicata) si è mossa verso Nord e verso Est, è stata la culla di una cultura tutt’ora non pienamente rivelata.
Le collaborazioni con le Università (in particolare quella del Salento) – già consolidate sulla viticoltura digitale e sostenibile e sull’uva da tavola, un po’ più indietro sull’uva da vino – saranno importanti per far crescere tutto il territorio, a partire da una profonda attenzione per la biodiversità ambientale.
Se indubbiamente i beneficiari ultimi del Distretto sono gli imprenditori pugliesi, è altrettanto vero che, in genere, aziende in crescita fanno da traino per l’intera regione.
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