SIENA – Approfondimento sulle normative e nozioni fiscali per agevolare gli agricoltori a cogliere le numerose opportunità.
Venerdì 26 marzo si è svolto il convegno on line dal titolo “Fiscalità del settore agricolo. Trasformazioni tecnologiche, ecosostenibilità e nuove frontiere” sulla pagina Fb Confagricoltura Siena, organizzato dall’Unione Provinciale Agricoltori di Siena in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali dell’Università di Siena. Una giornata di studi per comprendere come districarsi al meglio sui temi fiscali nel settore agricolo alla luce anche delle recenti innovazioni legate all’e-commerce, alla tutela ambientale e alle nuove tecnologie. Durante il convegno in questione si sono confrontati sul tema docenti universitari, esperti di settore, rappresentanti del mondo agricolo e istituzionale.
Italia: best practices a livello europeo per la fatturazione elettronica
“La proiezione dei problemi sulla contemporaneità è estremamente importante e il tema che oggi è oggetto di discussione rappresenta al meglio questa proiezione”. Così ha avuto inizio il convegno diviso in due sessione, la prima delle quali è stata presieduta da Laura Castaldi, Professore associato di Diritto Tributario del Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali dell’Università di Siena. Dopo i saluti istituzionali di Gianluca Cavicchioli, Direttore UPA Siena, e Gerardo Nicolosi, direttore del DISPI, abbiamo ascoltato Mario Carmelo Piancaldini, Capo Settore Procedure della Divisione Servizi Agenzia delle Entrate, in merito alla fatturazione elettronica nel settore agricolo, “un processo davvero importante che ha visto la sua regolamentazione nascere con la legge 244/2008 quando è stato introdotto l’obbligo tra i soggetti iva e la pubblica amministrazione”. Il valore aggiunto della fatturazione elettronica è di rendere più interoperabile il processo tra gli operatori e la pubblica a amministrazione, ma anche tra gli stessi operatori. Degli studi hanno dimostrato che la fatturazione elettronica porta enormi benefici nel tempo perché si è dimostrato una forte riduzione del costo, degli errori e porta a un abbattimento dei processi a basso valore aggiunto e a un efficientamento dei processi ad alto valore aggiunto, dove si può migliorare anche la gestione amministrativa delle aziende. Un flusso strutturato di dati è un processo che permette di acquisire senza errori tutta una serie di informazioni che permettono di sviluppare l’analisi strutturale per migliorare il proprio business. “Siamo i primi in Europa e ad oggi l’unico paese che ha introdotto l’obbligo generalizzato attraverso lo Sdi: le fatture devono essere predisposte con un formato standard e viaggiare attraverso il sistema di interscambio gestito dall’Agenzia delle Entrate, che ha il compito e il dovere di consegnare la fattura al soggetto ricevente, una volta verificato che i dati siano fiscalmente corretti.” Per questo con la standardizzazione del sistema vi è un duplice vantaggio, in quanto i due soggetti riescono a predisporre e recuperare in modo automatico le informazioni potandole nei propri sistemi gestionali. Naturalmente, anche gli agricoltori sono riusciti a sfruttare il vantaggio della fatturazione elettronica, sfruttando benefici gestionali e amministrativi.
Opportunità ed evoluzione per le imprese agricole
Il tema delle reti d’impresa e dello sviluppo dell’e-commerce è stato affrontato da Giangiacomo d’Angelo, Ricercatore confermato per il settore scientifico IUS/12 Diritto Tributario presso l’Università di Bologna Facoltà di Giurisprudenza. La reintroduzione di contratti di rete tra imprese ha favorito nuovamente la collaborazione tra le imprese. Si tratta di un tipo di contratto che porta grandi vantaggi, perché permette di esercitare in comune un’attività economica allo scopo di accrescere le reciproche capacità innovative e competitività. “Nasce con un obiettivo di business-oriented: un contratto che nasce per esigenze commerciali. Il contratto di rete riesce ad aggregare più imprese in relazione ad un’unica produzione agricola.” Infatti, il prodotto finale della filiera è un prodotto di ciascuna delle reti che hanno partecipato, delle imprese pro quota. In questo modo tutte le imprese retiste sono responsabilizzate nella produzione di grandissima qualità. “Al di là di fruire il credito di imposta (se ci sarà) – ha inoltre sostenuto d’Angelo – credo che soprattutto per le imprese agricole, le reti d’impresa siano proprio una valutazione strategica da compiere. A mio parere l’agricoltura non ha bisogno in questo momento storico di particolari vantaggi fiscali, in quanto l’obiettivo è conservare quelli che già hanno. Con questo andiamo verso un’evoluzione dell’attività agricola pur continuando a svolgere l’attività in maniera tradizionale.”
Filomena Maio, Responsabile Fiscalità Societaria Confagricoltura Nazionale, ha affrontato il tema del credito d’imposta per l’agricoltura 4.0, dove la novità sta nei risvolti più immediati per gli operatori. Come ormai ben sappiamo tutti spingono sull’innovazione tecnologica e lo stesso avviene per l’agricoltura.
Con la legge di bilancio del 2020, la misura del credito d’imposta riconosciuta per gli strumenti e beni strumentali nuovi, era della misura del 40% per quei beni tecnologici acquistati che rientravano nell‘allegato A e del 15% per i beni immateriali tecnologici riconosciuti dall’allegato B. La spendibilità del credito era legato all’anno successivo all’entrata in funzione del bene o alla sua interconnessione. Invece, con la legge di bilancio del 2021, il legislatore per incentivare gli investimenti tecnologici, ha stabilito che dal 40% si passi ad un 50%, ripartito in tre rate anziché cinque, e il credito può essere usato immediatamente, ovvero nell’anno stesso in cui viene acquistato il bene. “Naturalmente, per accedere al credito bisogna soddisfare due canoni, il primo dei quali è la regolarità contributiva, l’altro riguarda la normativa della sicurezza sul lavoro che deve essere in regola”. Infine Maio sottolinea l’importanza della
relazione tecnica che deve essere redatta da un professionista , e che è obbligatoria per investimenti superiori ai 300.000,00€, e consigliata in ogni caso.
Gli adempimenti fiscali doganali del dopo Brexit sono stati affrontati da Vitaliano Mercurio, Professore di Diritto Doganale all’Università di Bologna Dipartimento di Scienze Giuridiche, e da Angelo Infante, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Con il prof. Mercurio abbiamo visto che la Brexit va a incidere sull’esportazione di prodotti agroalimentari che hanno un volume piuttosto alto (3,4 miliardi), ma incide anche sul settore vinicolo che nel 2019 ha avuto un volume di esportazione di circa 800 milioni di euro. La Brexit, come sappiamo, ha comportato l’uscita dall’UE della Gran Bretagna e di conseguenza l’uscita dal mercato unico che consente agli stati che ne sono membri la libera circolazione delle merci senza applicazione di dazi. Tuttavia “c’è stato però un accordo con delle conseguenze fiscali e doganali, un cambiamento che si è riscontrato nelle procedure nel momento in cui si è passati da una cessione intercomunitaria ad una cessione alla esportazione. Le maggiori conseguenze si sono avute sotto il profilo doganale perché sono stati attivati dei controlli di natura extra tributaria che hanno inevitabilmente creato delle criticità dovute al fatto che non c’è stato il periodo di adattamento delle procedure in quanto l’accordo di libero scambio è stato siglato a fine dicembre per entrare in vigore a inizio gennaio”. Infante ci ha descritto il nuovo scenario doganale, dove è stato raggiunto un accordo di libero scambio in cui non si prevede per nessuna merce né quote né tariffe. Tra le novità introdotte in questo nuovo scenario, rientra la formalità doganale per cui gli operatori devono presentare una dichiarazione doganale, ciò significa che le merci potrebbero essere sottoposte a controlli doganali. L’Inghilterra ha aderito al transito comune secondo cui una merce può circolare liberamente senza dover sostenere dazi. “I vantaggi si riscontrano nelle semplificazioni delle formalità doganali che talvolta vengono eliminate. C’è una riduzione dei controlli, abbattono oneri economici, e un notevole risparmio del tempo. Molto importante è la semplificazione del luogo: la possibilità dell’azienda di spedire la merce nel Regno Unito senza presentarla prima alla dogana”. Una semplificazione che naturalmente prima deve essere autorizzata.
La sostenibilità e sistemi economico produttivi è stata al centro dell’intervento di Federico Maria Pulselli, Professore associato di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali dell’Università di Siena – Dipartimento di Scienze fisiche, della Terra e dell’ambiente. Il prof. Pulselli ci ha parlato di un progetto svolto a Siena che si è concentrato sul monitoraggio di gas serra a livello provinciale: “andiamo a monitorare tutto ciò che viene emesso dalle attività umane, li traduciamo in unità di misura comune e poi li mettiamo in rapporto con la capacità del nostro territorio di assorbire”.
Nel 2017 è stata fondata l’alleanza territoriale “Carbon Neutrality: Siena”. Con questo progetto è stato dimostrato che Siena è una delle poche aree che ha verificato di essere carbon neutral.
È importante prestare attenzione a ciò che consumiamo, alla vita dell’oggetto che ci riporta ad una visione circolare e quindi alla vita dell’oggetto che consumiamo. Il sole nel piatto è un progetto svolto a Siena che ha selezionato 24 aziende per cercare di capire i processi produttivi. I dati sono stati raccolti con la metodologia emergy, che cerca di determinare quanto sole c’è nei prodotti. “Quello che abbiamo potuto constatare dal progetto è che nella maggior parte dei casi il costo di produzione in termini di sole al kg è più basso della media nazionale. In tutti i prodotti, invece abbiamo trovato una percentuale di rinnovabilità maggiore rispetto alla media nazionale. Questo vuol dire che è possibile migliorare le performance anche dal punto di vista ambientale”.
L’interesse alla tutela dell’ambiente è sovranazionale
La seconda sessione è stata presieduta da Stefano Maggi, Professore ordinario di Storia Contemporanea dell’Università di Siena Dipartimento di Sciente Politiche e Internazionali. Il primo ad intervenire è stato Luca Peverini, Avvocato presso Maisto e Associati e Professore di Diritto Tributario dell’Università LUISS Guido Carli di Roma. “Si sente parlar spesso di leva fiscale, metafora che esprime il concetto che attraverso delle visure di carattere tributario, si riesce a veicolare i comportamenti degli operatori e i contribuenti”. La leva può essere azionata o con riferimento direttamente all’attività economica facendone oggetto di tassazione, oppure può puntare l’attenzione sugli effetti collaterali dell’attività. “La leva (il pagamento di una tassa) quindi può essere usata per disincentivare l’uso degli inquinanti, con degli incentivi per incentivare le nuove tecnologie che vanno ad inquinare meno”. La leva fiscale andrebbe a scoraggiare alcuni comportamenti e ne premia altri, e dal punto di vista degli effetti sugli operatori economici risulta essere la più efficace e diventa anche fondamentale per la salvaguardia dell’ambiente, perché non c’è un bene più comune dell’ambiente stesso. “Il settore agricolo ha sicuramente una correlazione con l’ambiente, sempre di più saranno premiate le attività che saranno più rispettose per l’ambiente”.
“Dal punto di vista fiscale non c’è una particolare attenzione alla leva fiscale in chiave incentivante all’interesse del settore agricolo nella produzione di energia attraverso fonti rinnovabile di natura agroforestale”. Così ha iniziato Laura Castaldi, Professore associato di Diritto Tributario Dipartimento di Scienze Politiche e Internazionali dell’Università di Siena, che si è occupata di illustrare i profili fiscali del settore agricolo ed energie rinnovabili. Quanto enunciato all’inizio dalla professoressa dipende da una constatazione pragmatica: “il nostro territorio che è destinato a coltivazione non è particolarmente esteso, e quindi l’appetibilità di poter destinare a produzioni agroforestali diretta alla produzione di energia elettrica e calorica è una scelta limitata”. Ciò conduce a verificare che la disciplina fiscale che si occupa di produzione di energia elettrica sia una disciplina che ha subito modifiche normative recenti molto limitate. A questo proposito gli uffici finanziari hanno introdotto criteri articolati, nati dal fatto di dovere distinguere le diverse modalità per stabilire la connessione rispetto al fondo. “Per questo sono stati stabiliti tre criteri: uno di carattere quantitativo, ovvero la prevalenza dal punto di vista quantitativo rispetto a quelli acquistati da terzi; il criterio del valore dei prodotti del fondo rispetto al prezzo d’acquisto dei beni provenienti da terzi. E poi, il terzo criterio che è quello di stabilire l’ammontare di prodotto in termini di cessione di energia elettrica o calorica, fotovoltaica o di carburanti e prodotti chimici”. Tuttavia, il sistema della prevalenza in ragione della connessione con il fondo dei prodotti utilizzati ha visto una criticità di applicazione di questa normativa che, come ha sostenuto la professoressa “deve salutare con favore la previsione legislativa che ha previsto per la concessione e cessione dell’energia elettrica calorica a fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaici dei limiti quantitativi che stabiliscono la prevalenza dell’utilizzo del fondo rispetto a fonti e elementi terzi”. Molte forme fiscali sono ancora estremamente contenute, sia nella forma sia nella loro applicazione e anche nella loro concreta fattibilità.
La direzione dell’UE in merito all’ecosostenibilità
Donato Rotundo, Responsabile Area Sviluppo sostenibile ed Innovazione Confagricoltura Nazionale, ci ha illustrato le strategie del Green Deal europeo, che coinvolgono in modo o l’altro l’agricoltura. La riduzione delle emissioni è certamente tra gli obiettivi primari, come lo è anche la biodiversità e la produzione dei prodotti biologici. “L’agricoltura italiana ha fatto passi da gigante su alcuni temi a partire dall’emissione di ammoniaca. Per quanto riguarda l’energia rinnovabile invece non rientriamo nella media europea nonostante gli sforzi già fatti sul bio gas e sul fotovoltaico, dunque occorre lavorare ulteriormente”. Ma c’è molto da migliorare anche per quanto riguarda la questione tecnologica in quanto “il livello d’istruzione degli agricoltori italiani è relativamente basso e il livello di digitalizzazione delle aziende agricole italiane e delle aree rurali è in ritardo”.
Come sappiamo, al 2050 c’è l’obiettivo della neutralità climatica, una delle sfide più importanti e l’agricoltura ha la possibilità di avere un ruolo da protagonista se pensiamo allo sviluppo delle rinnovabili e all’assorbimento della CO2. “Sulla transizione ecologica, invece, siamo abbastanza all’avanguardia in termini di sostenibilità in agricoltura ed economia circolare, con ben 5 miliardi che verranno destinati in particolar modo a questi due settori”.
Abbiamo poi ascoltato Angelo Rossi, dell’azienda Borgo Scopeto e Caparzo srl, secondo il quale “finalmente c’è un’attenzione verso un’agricoltura sostenibile e di precisione, mirata ad una maggior sostenibilità dell’ambiente”. Pur essendo sempre disposti a rinnovare macchinari e ad investire su impianti, in merito al passaggio al biologico che la legge impone di fare su tutti i terreni di una filiale, secondo Rossi “per agevolare questo passaggio si potrebbe strutturare una normativa meno stringente, iniziando per esempio a convertire una piccola parte del territorio di quella filiale. Allo scopo anche di invogliare questo cambiamento, che per certi versi potrebbe rivelarsi anche rischioso per il produttore”.
L’ultimo intervento ha visto protagonista Vincenzo Accurso, Chief Operating Officer di Nextchem S.p.A, che ci ha parlato in particolar modo della chimica verde e delle convergenze e le opportunità presenti soprattutto in campo agricolo. Ciò che è emerso di interessante è che la C.E. sta disponendo un sistema di tassonomia per condurre gli stati membri verso la transizione energetica. “Gli elementi fondamentali di filiera, nonché gli obiettivi, è quello di ridurre le emissioni di CO2, la necessità di valorizzare i sottoprodotti dei processi esistenti convertendoli in vere e proprie opportunità. Basti pensare all’economia circolare al sistema di riutilizzo e riciclo dei rifiuti. Ma un altro elemento di filiera è la riduzione dell’utilizzo del fertilizzante”. Sotto la forte spinta verso un cambiamento di paradigma si prospettano condizioni estremamente favorevoli, come l’apertura di nuovi mercati. L’agro-industria assumerebbe un nuovo ruolo da protagonista, anche perché può fare impresa.