VERONA – Una filiera agroalimentare più corta e sostenibile, ma anche polarizzata tra gli acquisti etico-salutistici e la caccia allo sconto, in una geografia demografica in evoluzione sotto gli effetti dello smart- e south-working.
È l’istantanea scattata da Ismea – e analizzata nell’ultimo numero de L’Informatore Agrario – dell’impatto del Covid-19 sui modelli di consumo agroalimentari in Italia, tra accelerazioni di processi già in atto e nuovi trend imposti dalle restrizioni dovute alla pandemia.
Stando all’analisi di Ismea, nell’ultimo anno si è registrato un ritorno all’economia di prossimità, con un incremento del 19% delle vendite dei piccoli esercizi locali (6,5 miliardi di euro il fatturato complessivo) e un’impresa agricola su 5 (il 22%, erano il 17% nel 2019) che ha scelto di raggiungere in autonomia il consumatore finale attraverso la vendita diretta. Un’accelerazione spontanea del processo farm to fork, a cui si è affiancata una crescente sensibilità dei consumatori alle informazioni green in etichetta, con indicazioni sulla sostenibilità del prodotto, presenti in circa il 35% dei prodotti acquistati.
E se da un lato quasi 1 etichetta su 3 ha convinto gli italiani per articoli premium dalle caratteristiche salutistiche (in particolari quelle dei prodotti rich in o free from), dall’altro si osservano già le conseguenze della crisi sul portafoglio delle famiglie, sempre più vincolate alle offerte promozionali.
EFFETTO COVID
Tra gli effetti dei lockdown, tengono – in particolare tra i più giovani – i consumi nel paniere “cuochi a casa” (uova, farina, lievito, burro, zucchero, olio extravergine d’oliva), mentre si ridimensionano gradualmente gli acquisti degli «alternativi al fresco» (surgelati e scatolame) e dei prodotti da «scorta dispensa» (latte Uht, pasta, passate di pomodoro). Sul fronte geografico, grazie alla diffusione dello smart- e south-working (cioè il ritorno dei lavoratori al proprio paese di origine, specialmente nei piccoli centri del Sud), si registra una crescita più incisiva (+6,7%) delle vendite di agroalimentare nei negozi situati in aree a bassa urbanizzazione, mentre rimangono sostanzialmente stabili nelle grandi città (+0,3%).
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