ROMA – Non vi è evidenza scientifica che la carne rossa non lavorata, assunta nelle giuste quantità e nell’ambito di una dieta variata, sia un agente cancerogeno certo. Per alcune categorie come i bambini e le donne in gravidanza costituisce un alimento molto importante per fornire i nutrienti necessari come il ferro e la vitamina B12.
A sottolinearlo è l’ISS – Istituto superiore di Sanità
La carne rossa è un alimento molto discusso. Il dibattito sui suoi reali rischi e benefici è sempre più acceso, supportato da studi scientifici che ne associano il consumo a un aumento del rischio di sviluppare alcuni tipi di cancro e altre malattie.
Nel 2015 lo IARC (International Agency for Research on Cancer) – Agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si occupa di valutare e classificare le prove di cancerogenicità delle sostanze – ha definito la carne rossa come probabilmente cancerogena (Gruppo 2A) e la carne lavorata come cancerogena (Gruppo 1), soprattutto rispetto alla comparsa di tumore del colon-retto ma anche di altri tipi di tumore (per esempio, al pancreas, alla mammella, allo stomaco e alla prostata), sebbene per questi ultimi i dati raccolti siano ancora insufficienti. Tutti gli studi considerati sono stati condotti solo sulla popolazione adulta. Innanzitutto, conviene distinguere tra:
- carne rossa, la parte muscolare di manzo, vitello, maiale, agnello, montone, cavallo e capra
- carne lavorata, carne sottoposta a salatura, stagionatura, fermentazione, affumicatura o altri processi come l’aggiunta di conservanti (nitriti e nitrati) per migliorarne il sapore o la conservazione (salumi, insaccati, carne in scatola, ecc.)
Nella maggioranza dei casi – spiega l’ISS – si tratta di carne rossa di manzo o maiale ma può anche essere pollame o altri tipi di carne. In questo caso, non è chiaro se l’aumento del rischio sia legato alla carne stessa (ferro-eme), al processo di salatura o agli additivi che si utilizzano per conservarla come nitriti e nitrati. È bene precisare che gli studi epidemiologici offrono dati di correlazioni scientifiche che non possono essere interpretati come prove di un rapporto di causa-effetto.
Ciò significa che si può parlare di aumento del rischio, e quindi di aumento della probabilità che compaia la malattia, quando si consuma carne rossa o lavorata, ma non si può dire che la malattia comparirà sicuramente in conseguenza del loro consumo. È bene sottolineare che l’aumento del rischio di comparsa del tumore dipende dalla quantità e frequenza di consumo di questi alimenti.
In generale, il consumo di carne rossa o lavorata non deve superare i limiti raccomandati dalle Linee Guida per una sana alimentazione. La popolazione adulta non dovrebbe mangiare più di due volte a settimana una porzione, pari a 50 grammi, di carne lavorata e non più di tre volte una porzione, pari a 100-150 grammi, di carne rossa, per un massimo di 350-500 grammi a settimana.
Il consumo di carne rossa, tuttavia, va sempre definito in base alle condizioni individuali di salute e alla necessità, ad esempio – precisa l’ISS -, di ferro e vitamina B12, di cui è un “fornitore” prezioso. In particolare, il fabbisogno di questi indispensabili nutrienti, difficili da reperire ed assimilare dagli alimenti di origine vegetale (nei quali la vitamina B12 è assente), è aumentato nelle donne in gravidanza e nei bambini.
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