Conferenza Stato – Regioni, mancata intesa sul riparto fondi FEASR. Ora tocca al Governo

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ROMA – Non è stato raggiunto l’accordo in Conferenza Stato – Regioni sulla ripartizione dei fondi europei FEASR assegnati all’Italia per la programmazione del biennio 2021-2022.

La questione si trascina ormai da diversi mesi e vede contrapposte 15 Regioni e Province autonome che compatte chiedono di modificare un sistema di riparto anacronistico, onorando peraltro un accordo assunto nel 2014, alle 6 Regioni che vogliono mantenere lo status quo, grazie al quale continuare a godere dell’assegnazione di metà dell’intero ammontare del FEASR destinato all’Italia.

Ma se le prime hanno presentato diverse opzioni e mosso grandi passi verso una mediazione, appoggiando anche la soluzione presentata dal Ministro Patuanelli a inizio aprile, di applicazione graduale e mediata dei nuovi criteri oggettivi rispetto allo storico (per il 2021: 70% storico e 30% oggettivi; per il 2022: 30% storico e 70% oggettivi), le altre si sono limitare a ribadire la mancanza di presupposti per cambiare il sistema di riparto, cercando in ogni atto o documento elementi a supporto della loro tesi.

Tra questi, la lettera del Commissario europeo all’Agricoltura Janusz Wojciechowski del 3 marzo, che le 6 Regioni del Sud, estrapolando solo la precisazione sul mantenimento delle disposizioni del periodo 2014-2020, interpretano come indirizzo per il mantenimento dei vecchi criteri di riparto.

Occorre osservare, però, che la sintetica missiva precisa innanzitutto che il regolamento europeo 1305 del 2013 sullo sviluppo rurale “non stabilisce in che modo debba essere definita la ripartizione della dotazione nazionale del FEASR tra i PSR regionali” e che negli stati membri con PSR regionalizzati “la ripartizione è pertanto decisa dalle autorità degli stessi Stati”. Evidenzia poi che le disposizioni del regolamento 1305 relative alla ripartizione “non sono modificate dal regolamento” del 2020 per il periodo di transizione.

Chiarisce quindi che non c’erano criteri a monte dettati dalla UE per il riparto nella programmazione 14-20, che nel caso di programmazione regionalizzata il riparto spetta agli Stati membri e che tale modalità permane anche per il periodo della transizione.

Da ultimo, alla Conferenza del 21 aprile emerge una recente nota del MEF a firma del ragioniere generale dello Stato, anche questa strumentalizzata. Vi si afferma che “l’ammontare delle risorse assegnate al cofinanziamento nazionale dello sviluppo rurale per gli anni 2021-2022 dovrà essere quantificato secondo i criteri già definiti per la programmazione 2014-2020 dalla legge n.147 del 2013 (articolo 1, commi 240-241) e dalla delibera del Cipe n.10 del 2015”.

Ancora una volta, questi criteri non riguardano le quote del riparto tra Regioni, bensì le aliquote di concorrenza al cofinanziamento europeo da parte di Stato e Regioni, che come noto favoriscono ulteriormente le Regioni meno sviluppate prevedendo una minore partecipazione dai bilanci regionali.

Ora spetterà al Governo assumere la decisione finale, per sbloccare uno stallo non più sostenibile e consentire il rapido impiego delle risorse. Chissà se si vorrà poi considerare l’efficienza nella spesa da parte delle diverse realtà, viste le performance di questi ultimi anni e il mancato utilizzo di importanti somme di fondi europei che ora rischiano di tornare a Bruxelles.

Se, come afferma il premier Draghi, è nella ragionevolezza dei numeri che va trovata la soluzione, di sicuro le 15 Regioni del Centro Nord confideranno che il riparto sia aderente alla proposta di compromesso del Ministro Patuanelli (70/30 – 30/70), considerabile certamente equilibrata e di buon senso.

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