di ALBERTO GUIDORZI – su Agrarian Sciences
I NUMERI DEL BIOLOGICO – Ho avuto modo di scorrere l’edizione 2020 dell’Agricoltura biologica nel mondo edita dall’Agence Bio francese (a questo link), e fin dalle prime frasi ne ho notato il taglio trionfalistico. Di seguito riporto i numeri significativi che ho estrapolato.
Mi chiedo e chiedo, ma con questo trend si può pensare di sfamare il mondo con il biologico? Ma è proprio una strategia sensata ipotizzare il 25% di biologico in Europa? Ancora una volta di volumi di produzione e produzioni unitarie non si parla, mentre si parla solo di superfici in aumento tacendo che i dati sono drogati.
ECCO I NUMERI
· Ben 103 paesi hanno un regolamento biologico
L’UE ha firmato accordi di equivalenza bilaterali e anche unilaterali con paesi in via di sviluppo che sono quelli da cui proviene la quasi totalità dei prodotti biologici importati.
Ecco la definizione riconosciuta per stipulare un accordo di equivalenza tra due paesi e realizzare una corrente di import/export: “ esso consente che le norme, regole e metodi che differiscono tra loro possano essere trattati come se fossero identici (senza che ogni paese debba modificarli), ciò, però, a condizione che essi producano gli stessi risultati e che puntino agli stessi obiettivi, anche se i mezzi impiegati sono diversi”.
71,5 milioni di ettari è la superficie bio nel mondo, dato che corrisponde all’1,5% delle superfici agricole dei 186 paesi indagati. Essi contemplano 2,8 milioni di aziende.
Il dato significativo che mi fa dire che i dati sono drogati è quello dell’Australia che è il paese più biologico con 36 milioni di ettari (si accaparra il 50% della superficie totale a biologico nel mondo), ma con sole 21.000 aziende biologiche (1700 ettari ad azienda). Solo che il 97% di queste superfici sono dei pascoli permanenti. L’UE che è seconda ne ha 15,6 milioni di ha con 418.000 aziende (aziende di 37 ettari, cioè più del doppio dell’azienda media europea che è di 16,1 ettari, in Italia invece la superficie media dell’azienda biologica è di 28 ettari, quattro volte più ampia dell’azienda agricola media italiana che è di 7 ha circa). I dati delle superfici medie aziendali sono totalmente anomale perché nascondono superfici che sono solo certificate biologiche, ma che praticamente non producono nulla in quanto sono pascoli permanenti. Inoltre una eventuale coltivazione biologica non differirebbe in nulla da una definibile convenzionale.
Le statistiche annoverano come superfici bio, quindi certificate, perfino 35,7 milioni di ettari di terre non agricole ma dichiarate biologiche, dove, cioè, si fa raccolta di prodotti spontanei e dove bottinano le api; in altri termini esiste anche la categoria dei “terreni non coltivati, ma con metodo biologico”. Sono decuplicate in 20 anni. Il 47% di queste superfici si trovano in tre paesi: Finlandia, Zambia e Tanzania. In Italia nel 2015 erano quasi 100.000 ettari.
Come già detto, il 50% della superficie biologica è in Australia, segue poi un altro 29% dato da 8 paesi (Argentina, Cina, Spagna, USA, Italia, Uruguay, India, Francia, Germania) che incidono tra un 2 ed un 5% del totale della superficie agricola dei vari paesi. Il restante 21% è dato dagli altri 176 paesi indagati. Dunque i 4/5 delle superfici bio sono appannaggio di solo 10 paesi.
Delle 6600 imprese importatrici mondiali di bio, ben 5790 sono europee.
Quasi i 9/10 dei consumi di prodotti biologici avvengono in America del Nord (43,9%) e UE (42,8%). I motivi addotti per l’acquisto sono: la salute, la preservazione dell’ambiente e la qualità, ma nessuna di queste motivazioni ha una sua rispondenza certificata da indagini scientifiche. La certificazione biologica concerne unicamente l’aver seguito un determinato procedimento di coltivazione, ma che evidentemente non è lo stesso in tutti i paesi del mondo, come si evince dalla precedente definizione di equivalenza.
A) Ripartizione delle coltivazioni vegetali biologiche:
Pascoli permanenti 67%
Colture annuali o arabili 19%
Colture permanenti 7%
Altre (senza ulteriori dettagli) 7%
- Focus di pascoli permanenti bio
✔ I pascoli permanenti bio nel mondo sono 49 milioni di ettari.
Rispetto al totale della superficie bio dei singoli continenti rappresentano il 96% in Oceania, il 40% in Europa ed il 74% in America latina. In 14 anni i prati pascoli permanenti sono più che raddoppiati.
- Focus sulle colture bio annuali o arabili
✔ Esse sono 13,6 milioni di ettari
cereali 36% (4,8 milioni di ettari – il 34% sono frumenti, il 12 % ciascuno riso e mais, 2% la quinoa).
Colture foraggere 29% (3,9 milioni di ettari) (o sono autotrofe o esenti da intrant, cioè più adatte al percorso).
Oleaginose 11% (1,5 milioni di ettari) (di cui più della metà è soia).
Proteiche e legumi 5% (0,73 milioni di ettari) ( i 2/3 sono prodotti in Asia).
Industriali e tessili 4% (0,47 milioni di ettari) (in pratica solo cotone ossia l’1%)
Verdure e frutti 3% (0,39 milioni di ettari).
Altre 12%.
Le cifre delle colture biologiche annuali dicono poco, meglio dire che in totale esse rappresentano un misero 0.9% di tutte le coltivazioni annuali o arabili del pianeta. I cereali bio sono addirittura solo lo 0,7% di tutte superfici mondiali a cereali (d’altronde un’indagine francese dice che per i 2/3 dei consumatori l’acquisto di pane biologico è occasionale), mentre le oleaginose bio sono lo 0.6% delle superfici mondiali di oleaginose e le piante tessili l’1% (quasi tutto cotone). Nelle piante industriali la fanno da padrone le piante saccarifere (circa 100.000 ettari). Lo zucchero bio ricavato proviene per il 9/10 dalla canna e per 1/10 dalla bietola principalmente in UE (76%) ed Egitto (24%). Ma in Europa sono tutte nicchie di facciata. Per quanto riguarda la canna, in molti paesi tropico-equatoriali essa è una coltivazione fatta naturalmente con sistemi primitivi, cioè facilmente assimilabili al biologico e quindi al bisogno facilmente certificabili. Gli ortaggi (verdure o frutti) sono solo lo 0,6% delle superfici mondiali di ortaggi, in particolare le fragole bio sono appena l’1,9% di tutta la superficie mondiale di fragole.
- Focus sulle colture perenni bio
✔ Esse cono 5 milioni di ettari e rappresentano appena il 2,8% delle coltivazioni mondiali delle colture perenni.
Nell’ordine si tratta di:
Oliveti (!9%), frutti a guscio (15%, dato da noci, castagne, mandole ecc.) e caffè (15 % e più del 7% sono in Africa), vigne ( 9%), noci di cocco (8%), cacao (7%), frutta tropicale o sub tropicale (7%, la fetta maggiore spetta alle banane), altri frutti (6% e qui vi sono i frutti maggiormente consumati, come: mele, pere, pesche, agrumi ecc.), senza ulteriori dettali un altro 14% (frutti a bacca in particolare modo).
Cosa dicono queste cifre? Che la fetta maggiore spetta a produzioni di paesi sottosviluppati dove spesso il biologico è esportato e per loro spesso non è una scelta ma la norma a causa dell’arretratezza dei sistemi agricoli. Le coltivazioni di paesi ricchi invece sono relegate su terreni ormai praticamente dismessi, come molti oliveti non specializzati. Il dato che balza agli occhi è che si fa biologico su colture dove è più semplice farlo, mentre in altre il biologico latita come ad esempio il caso dei frutti maggiormente consumati nei paesi sviluppati.
B) Ripartizione degli allevamenti biologici
- Focus sull’allevamento bio (si ricorda che secondo Livestock.geo-wiki.org nel mondo vi sono 1,7 miliardi di bovini, 2,3 miliardi di ovini e caprini, 1 miliardo di suini e 19,6 miliardi di pollame).
✔ Il dato stimato è che il latte bio (circa 10 milioni di t) rappresenti solo l’1,4% di tutta la produzione di latte del pianeta. Si ricorda che la FAO dice che nel mondo si sono prodotti 843 milioni di t di latte, dati da 272 milioni di vacche.
Il 51% è prodotto in 4 nazioni: USA (22%), Germania (11%), Cina (9%) e Francia (9%). Altri 12 paesi o gruppi di paesi si dividono il restante 49%. Tuttavia nell’UE (5% della produzione mondiale) si sta assistendo già a casi di saturazione del mercato di latte alimentare bio. Emblematico è il caso dell’Oceania che con il 96% di prati-pascoli permanenti in superfici bio: in Australia produce solo 46.000 t di latte (eppure ha il 50% delle superfici biologiche del pianeta che sono pressoché tutti pascoli permanenti e la popolazione bovina supera del 40% la popolazione umana) e in Nuova Zelanda solo 175.000 t di latte bio. Il che sta significare che la restante superficie a pascolo è inutilizzata, ma evidentemente riceve un contributo finanziario in quanto riconosciuta biologica.
✔ Carne biologica (Si ricorda che si producono in totale 330 milioni di t di carcasse animali nel mondo e che la produzione è quintuplicata in 60 anni).
L’Europa, seppure essa tra i vari continenti abbia la minore superficie bio a prati pascoli permanenti è la maggiore produttrice di carne bio sia bovina che ovina (è pure prima nella carne suina), fino a prova contraria, dovrebbe essere l’Oceania o l’America Latina a produrne di più, mentre dai dati riportati: la Nuova Zelanda nel 2017 ha abbattuto appena 65.000 agnelli bio e l’Australia solo l’1% degli agnelli macellati è bio; nel 2014 l’Argentina con la sua pampas aveva solo 2300 bovini da carne bio (eppure essa ha 9 bovini ogni 10 persone).
In fatto di capi avicoli poi, su 19 miliardi di pollame nel mondo, USA e UE in bio ne hanno rispettivamente solo 30 milioni e 24 milioni.
Conclusione
Il biologico è nato perché dal dopoguerra (ma anche molto prima secondo Steiner e la biodinamica) s’impose la credenza che l’agricoltura “moderna” produceva cibi con “potenziali vitali” via via minori; anzi al limite avvelenava (evidentemente con “veleni” che allungavano la vita..!!!). Una credenza, però, che ha convinto pochissima gente, se le statistiche ci dicono che si produce cibo bio solo sullo 0,3% (il 33% dello 0,9%) della superficie utile mondiale e se per aumentare i numeri si inventato ettari su ettari di “superfici agricole incolte con metodi biologici”.
Senza dimenticare anche che il concetto di “moderno associato al decadimento del cibo” diventa molto relativo, infatti se si è definita moderna l’agricoltura di un secolo fa ora i metodi di questa agricoltura non lo sono sicuramente più.
Agronomo. Diplomato all’Istituto Tecnico Agrario di Remedello (BS) e laureato in Scienze Agrarie presso l’UCSC Piacenza. Ha lavorato per tre anni per la nota azienda sementiera francese Florimond Desprez come aiuto miglioratore genetico di specie agrarie interessanti l’Italia. Successivamente ne è diventato il rappresentante esclusivo per Italia; incarico che ha svolto per 40 anni accumulando così conoscenze sia dell’agricoltura francese che italiana.