Bellussera, un vigneto a rischio estinzione. Ca’ di Rajo riparte dalla tradizione per costruire un grande futuro

SAN POLO DI PIAVE (TV) – Simone Cecchetto è forse uno dei pochi giovani vignaioli radicalmente attaccato alla tradizione.

Simone custodisce e preserva un’antica forma di allevamento basata su un sistema a raggi: la Bellussera. Storica per la viticoltura, fu ideata dai fratelli Bellussi a fine ‘800. Vigne talvolta centenarie, vengono consegnate alla cultura e alla viticoltura odierna, attraverso un metodo antico e piuttosto complesso.

Non solo per la sua gestione che non permette meccanizzazione e prevede un elevato grado di manualità, ma soprattutto per la difficoltà di messa a dimora, un’opera d’arte le cui conoscenze sono oramai nelle mani di un ristrettissimo numero di anziani del luogo. La volontà di non smarrire definitivamente tasselli delle proprie origini, di non appiattire la conoscenza e il territorio che si snoda lungo il fiume Piave, la volontà di conservare la memoria di tecniche agricolo-produttive e di valorizzare il patrimonio vitivinicolo attraverso gli autoctoni come il rarissimo Manzoni rosa, è portata avanti con tenacia da Simone, Alessio e Fabio Cecchetto, nipoti del fondatore Marino Cecchetto.

“Conservare 15 ettari di Bellussera, una forma di impianto che rischia l’estinzione, non è semplice – racconta Simone -. La viticoltura in questo vigneto si può condurre esclusivamente a mano: la vendemmia si compie a circa 3 metri da terra, sotto le viti disposte a raggiera e lo stesso vale per la potatura. Le operazioni di raccolta delle uve si svolgono grazie a un rimorchio e a un pianale che consentono di raggiungere l’altezza necessaria. La Bellussera, infatti, prevede un sesto di impianto ampio dove pali in legno di circa 4 metri di altezza sono tra loro collegati da fili di ferro disposti a raggi. Ogni palo sostiene 4 viti, alzate di circa 2,50 m. da terra, da ciascuna delle quali si formano dei cordoni permanenti che vengono fatti sviluppare inclinati verso l’alto e in diagonale rispetto all’interfilare, formando una raggiera”.

In questa architettura unica e straordinaria che disegna il paesaggio come un ricamo nell’aria, Ca’ di Rajo coltiva diverse varietà tra cui la Marzemina bianca e due autoctoni speciali, due incroci genetici messi a punto dal prof. Luigi Manzoni (Preside della Scuola Enologica di Conegliano) durante una serie di esperimenti condotti negli anni ‘30 sul miglioramento genetico della vite mediante incrocio e ibridazione tra varietà.

Gli Incroci Manzoni iscritti al Registro Nazionale delle varietà di vite sono: Manzoni Bianco, Manzoni Moscato, Manzoni Rosa, Incrocio Manzoni 2.14, Incrocio Manzoni 2.15, Incrocio Manzoni 2.3. La prima serie di combinazioni di incroci venne contraddistinta con due numeri (il primo indicava il numero del filare ed il secondo il numero del ceppo sul filare) mentre la seconda serie (quella svoltasi tra il 1930 e il 1935) venne identificata da un gruppo di tre cifre, di cui la centrale è sempre lo 0.

Ca’ di Rajo si è focalizzata sull’Incrocio Manzoni, Pinot Bianco e Riesling Renano conosciuto anche come 6.03.13 e, l’oramai raro Manzoni Rosa, acini rosa di Traminer e Trebbiano da cui la cantina di San Polo di Piave produce uno spumante Extra Dry Millesimato. Tre ettari vitati di proprietà Ca’ di Rajo su quattro totali a livello nazionale che con le Bellussere rappresentano le radici valorizzando completamente il concetto di sostenibilità ambientale ed economica. L’impossibilità di meccanizzazione riduce al minimo l’immissione di CO2 in atmosfera e l’utilizzo di prodotti fitosanitari. Allo stesso modo è inferiore anche l’impatto economico: il fabbisogno di ore lavorative cresce solo durante il periodo della vendemmia, eseguita esclusivamente in modo manuale e da una manodopera qualificata.

Manzoni Rosa Millesimato Extra Dry e Nina, Manzoni Bianco da uve appena surmature sono vini dai profili somiglianti, espressione tangibile del luogo che li modella evidenziandone le caratteristiche varietali di freschezza e longevità.

 

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